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domenica 30 novembre 2014

Ronnie Carl Hellström meglio noto come l'Uomo Gatto


Al termine del Campionato Mondiale di Calcio che si disputò in Germania nel 1974 il club tedesco del 1 FC Kaiserslautern  ingaggiò il portiere Ronnie Carl Hellström.
Il portiere della Svezia, che già aveva disputato una gara nel mondiale messicano del 1970, fu uno dei grandi protagonisti della rassegna mondiale.
In Messico, nel 1970, Hellström giocò solo la prima gara che la Svezia disputò contro l'Italia. 
In quell'occasione proprio una grave incertezza dell'estremo difensore svedese su un tiro - non certo irresistibile -  di Domenghini consentì all'Italia di vincere la gara per una rete a zero: con quell'errore, nella partita iniziale, si concluse il mondiale di Hellström che venne relegato in panchina dall'allenatore Bergmark.
Hellström si prese la sua rivincita nel mondiale 1974 competizione nel corso della quale iniziò ad essere chiamato l'Uomo Gatto per via dei suoi interventi plastici che richiamavano in tutto e per tutto i movimenti del felino.
In quell'edizione della competizione iridata il "nostro" giocò tutte le sei gare disputate dalla Svezia.
Dopo un doppio zero a zero contro Bulgaria e Olanda la Svezia piegò l'Uruguay per 3 reti a 0  passando così al secondo turno.
Nella seconda parte della fase finale la Svezia venne piegata dalla Polonia per una rete a zero mentre più dura fu la sconfitta subita ad opera dei padroni di casa della Germania Ovest che bucò la rete di Hellström ben quattro volte (4-2 fu il risultato finale). Tuttavia, in quella gara, il portiere svedese fece più di un miracolo salvando la Svezia da un passivo anche peggiore e contribuendo ad  alimentare la sua leggenda.
La vittoria finale contro la Jugoslavia per 2 - 1 non servì che a rendere meno amara l'eliminazione dal mondiale.
Proprio al termine della rassegna iridata il portiere svedese venne ingaggiato dal club tedesco del 1 FC Kaiserslautern.
Con il club tedesco Hellström giocò per ben dieci stagioni consecutive disputando 266 gare di campionato e 28 di coppa di Germania.
Al mondiale 1978 Hellström si presentò con l'accredito di essere nel lotto dei migliori portieri del mondo.
Tuttavia in Argentina l'Uomo Gatto non ebbe grande fortuna e con la sua Svezia venne eliminato al primo turno dopo un pareggio 1-1 contro il Brasile e la doppia sconfitta per 1-0 contro Austria e Spagna.
Chiuse la carriera agonistica nel 1984 rientrando in patria per contribuire, con la sua esperienza, ad allenare e formare giovani portieri svedesi.
Resterà per sempre nella memoria degli appassionati di calcio per i suoi incredibili interventi.
Il grande Ronnie Hellström: l'unico e vero "Uomo Gatto".




  




La scomparsa di Lucidio Sentimenti (IV)


Un'altro degli "Originali" se n'è andato.
Lo scorso 28 novembre si è spento Lucidio Sentimenti meglio conosciuto come Sentimenti IV.
Insieme a Combi, Zoff e al nostro contemporaneo Gigi Buffon, Sentimenti IV resterà per sempre nella storia come uno dei più forti portieri della Juventus.
Nato a Bomporto, nella provincia modenese, nel 1920 Lucidio è il quarto di cinque fratelli che sono stati tutti calciatori.
Sentimenti IV giocò anche per Modena, Vicenza, Lazio e in tre occasioni difese anche la rete del Torino.
E' stato uno dei primi portieri, nella storia del calcio mondiale, a battere i calci di rigore. 
E' il 17 maggio 1942 quando si disputa Napoli - Modena:  Lucidio Sentimenti difende i pali del Modena mentre il fratello Arnaldo è tra i pali dei partenopei.
A cinque minuti dalla fine l'arbitro fischia un calcio di rigore a favore del Modena.
Dal dischetto degli undici metri si consumò la sfida tra i due fratelli Sentimenti IV contro Sentimenti II: Lucidio calciò sicuro come suo solito e non lasciò scampo al fratello Arnaldo.
Nella stagione 1958-1959, quando Lucidio aveva già smesso di giocare ed era allenatore del Cenisia in serie D, venne chiamato a difendere la porta del Torino che era in piena emergenza per l'assenza dei portieri Vieri e Rigamonti: in quelle domeniche Sentimenti IV difese i pali granata gratuitamente.
Voleva forse risarcire i tifosi del Grande Torino per il fatto di essere stato titolare (anni prima)  della porta della nazionale italiana  - da juventino -  in una squadra che per  nove undicesimi era granata (l'altro "estraneo" era lo straordinario Parola).


Felice Pulici da Sovico allo scudetto con la Lazio


Il Pulici più celebre della storia del Calcio Italiano è senz'altro quel Paolino che insieme a Ciccio Graziani costituì  una delle coppie gol più prolifiche ai tempi del Torino scudettato del '76.
Il Pulici che risultava a me più simpatico, man mano che imparavo la storia del calcio dai manuali della Panini, è invece Felice.
Nato a Sovico (a un tiro di schioppo dalla nostra Cabiate) nel 1945 Felice Pulici  dopo una gavetta tra Lecco e Novara, su e giù tra serie C e serie B approda alla Lazio nella stagione 1972-1973. Per ben cinque stagioni dal 1972 al 1977 il portiere di origine brianzola giocò tutte le 30 partite in calendario nel campionato, senza lasciare mai, nemmeno per una partita, la maglia da titolare.
Felice Pulici entra nelle leggende del calcio italiano quando nella stagione 1973/1974 la Lazio vince il primo scudetto della sua storia.
Nel corso della stagione 1977/1978 il rapporto con la Lazio si rompe e così Pulici ritorna nella "sua" Brianza a vestire la maglia del Monza con cui disputa  31 gare nel campionato di serie B.
Quindi ritorna in serie A vestendo la maglia dell'Ascoli  per tre stagioni.
Quando nel 1981/1982 la Lazio cerca un portiere per disputare il campionato di serie B Felice Pulici non ci pensa due volte e ritorna nella capitale.
Chiuderà lì alla Lazio nella stagione 1982/1983 la sua carriera agonistica.
Resterà poi legato al club capitolino nella veste di dirigente per parecchi anni.
Tre presenze nella nazionale B (quella che è oggi l'Under) completano il palmares di Felice Pulici il portiere dello storico primo scudetto laziale: il brianzolo che conquistò Roma.





mercoledì 26 novembre 2014

La notte in cui Jean-Marie Pfaff fece piangere il Bernabéu


Accadde a Madrid la notte del  22 aprile 1987.
E io me lo ricordo bene. 
La RAI  portò nelle case di tutti gli italiani le immagini della sfida di ritorno delle semifinale di Coppa dei Campioni tra i padroni di casa del Real Madrid e i tedeschi del Bayern München.
Il Bayern del mio Pfaff che, quella sera lì, disputo una delle migliori partite della sua lunga e gloriosa carriera.
La gara di andata fu vinta in modo netto dai tedeschi per 4 reti a 1.
Ma il Madrid era famoso per essere riuscito più volte a ribaltare, tra le mura amiche del Santiago Bernabéu, parziali anche peggiori. 
Oltretutto il Bayern si presentava a Madrid senza uno dei suoi uomini migliori: quel Lothar Matthaus che avrebbe fatto grandi cose pochi anni dopo con la maglia dell'Inter allenata da Giovanni Trapattoni.
Come era nelle previsioni: pronti via ed iniziò l'assedio dei madridisti alla porta del grande Jean-Marie.
E il portiere belga inziò  il suo show fatto di parate straordinarie e salvataggi al limite del possibile.
Quel Real Madrid del 1987 schierava gente del calibro di Emilio Butragueno, Rafael Martin Vasquez, Josè Camacho, Carlos Santillana e del messicano Hugo Sanchez.
La pressione del Madrid portò, al  28° minuto del primo tempo,  alla rete di Carlos Santillana.
Pochi minuti dopo il capitano del Bayern Klaus Aughentaler venne espulso.
La pressione del Real Madrid aumentò ancor più di intensità ma, nonostante l'inferiorità numerica, il Bayern riuscì a resistere fino al novantesimo minuto.
Tra le straordinarie parate di Pfaff in quella notte di aprile  fu indimenticabile  quella che lo vide volare a deviare con la mano di richiamo un pallone calciato all'incrocio dei pali da un calciatore madridista. Un gesto tecnico degno di un "dio" tra i pali di una porta. Una di quelle parate che restano impresse nella mente e non se ne vanno più. 
Per il pubblico del Santiago Barnabéu le parate del belga furono come un incubo.
Diversi tifosi del Real  manifestarono tutta la loro frustrazione e delusione gettando in campo all'indirizzo di Pfaff un po' di tutto.
Tra gli oggetti raccolti dall'arbitro francese Vautrot nell'area di rigore del Bayern  anche una barra di ferro come testimoniarono le immagini  televisive e le fotografie da bordo campo.

Pur sconfitto per 1 - 0 il club bavarese approdò (in virtù del punteggio aggregato) alla  finale di Coppa dei Campioni  dove avrebbe affrontato il Porto. Ma quella lì è un'altra storia.
Quella notte dell'aprile 1987 resterà per sempre impressa nella mia memoria come la partita che  consacrò l'estro e la classe di Jean-Marie Pfaff:  il portiere che riuscì a far disperare il Bernabéu.

Grazie all'amico Shahan per le foto tratte dal suo racconto di quel doppio confronto che potete leggere qui:







domenica 23 novembre 2014

Jürgen Croy il più grande portiere della D.D.R.


La storia di Jürgen Croy l'ho letta e riletta mille e più volte nello splendido libro di Karlheinz  Mrazek "Die Besten Torhüter Der Welt" (I Migliori Portieri del Mondo).
Portiere leggendario della D.D.R., (Germania Est)  Jürgen Croy  ha passato tutta la sua carriera sportiva con i colori dello Zwickau, squadra della sua città natale. Dal 1956 al 1965 come portiere dell'Aktivist Karl-Marx Zwickau e poi dal 1965 al 1981 (data del suo ritiro) nel Sachsenring Zwickau.
Nella sua carriera Croy ha giocato 372 gare del campionato nazionale della D.D.R. ed è stato titolare della nazionale di calcio vestendone la maglia in ben 94 partite.
Nonostante la sua fama gli avesse concesso di poter passare a club di maggiori ambizioni Jürgen Croy non cedette mai alle lusinghe di questi blasonati club restando sempre legato alle sorti del club di Zwickau. Questo suo modo di vedere le "cose del calcio" me lo ha sempre fatto sentire uno dei "preferiti". 
Un uomo, Croy, che per modo di intendere la vita e il calcio è stato un vero Gigante.
Con  piccolo club di Zwickau il portiere tedesco vinse la coppa di lega della D.D.R. nel 1975. 
E in quella coppa vinse non solo parando alla grande, ma regalandosi un posto nella storia calcistica della D.D.R., perché realizzò il calcio di rigore decisivo che consentì allo Zwickau di sconfiggere la più titolata e blasonata Dynamo Dresda. 
Questa vittoria consentì al Sachsenring di disputare, la stagione successiva, la Coppa delle Coppe.
Dopo aver eliminato nel primo turno  i greci del Panatinaikos i tedeschi dell'est eliminarono, negli ottavi,  la Fiorentina ai calci di rigore dopo che le partite di andata e ritorno si erano chiuse sullo 1-0 e 0 -1. Nella gara di ritorno, finita con la lotteria dei rigori, Croy parò  un rigore ai viola e poi andò a realizzarne anche uno. Quindi il Sachsenring eliminò  il Celtic nei quarti di finale (1-1 all'andata e 0-1 al ritorno). Al termine della gara di andata il tecnico del Celtic John Clark ebbe a dire del portiere tedesco: "Negli ultimi anni non ho mai visto al Celtic Park nessun altro portiere forte come Jürgen Croy".
L'avventura dello Zwickau in quella Coppa delle Coppe edizione 1975/1976 si arrestò nel doppio confronto contro i belgi dell'Anderlech. La doppia sconfitta patita contro i  futuri vincitori del torneo  (0-3 e 0-2) non appannò neppure un attimo la gloria dell'impresa del piccolo club di Zwickau che, sin lì, aveva rivaleggiato ad armi pari contro grandi potenze del calcio europeo.
Con la nazionale della D.D.R. Croy partecipò alle Olimpiadi del 1972 e del 1976. Nel 1972 la D.D.R. si piazzò terza mentre nel 1976 Croy & Compagni vinsero la medaglia d'Oro.
Nel 1974 Croy disputò, da titolare, tutte le 6 partite giocate dalla D.D.R. nella fase finale del Campionato del Mondo di Calcio.
Il 22 giugno 1974 Croy fu testimone della storica vittoria della D.D.R. sui futuri campioni del mondo (nonchè cugini) della Germania Ovest.
Vincitori del loro girone in virtù del pareggio con il Cile (1-1) e dei successi contro Australia (2-0) e Germania Ovest ( 1-0)  i tedeschi dell'est vennero eliminati nella seconda fase a causa delle sconfitte patite contro il Brasile (0-1) e l'Olanda (0-2)  chiudendo  la loro avventura mondiale con un pareggio per 1-1 contro l'Argentina.
Per tre volte nominato calciatore dell'anno in D.D.R. (1972-1976-1978) Jürgen Croy è, giustamente,  considerato una leggenda in Germania. 
La scelta di restare una "bandiera" per il suo club a discapito di prospettive  sportive ed economiche più allettanti è ben descritta da Mrazek nel suo libro.
Croy, quando gli veniva chiesto del perché non fosse andato a giocare a Dresda (per dire il nome del Club che più insistette per averlo tra i pali),   si limitava a giustificare il fatto spiegando che a Zwickau stava bene e che, per giocare le partite casalinghe, si recava dalla sua abitazione allo stadio a piedi. 
"Cosa vuoi di più dalla vita ?" verrebbe da chiedersi.
Un Uomo di altri tempi. Una bandiera di quel calcio che è solo un ricordo e genera in me tanta nostalgia.
Viva Jürgen Croy.
Sempre.



domenica 16 novembre 2014

Péter Disztl e il poster delle finali di Coppa 1984-1985


Con quella barba folta che gli circondava il viso e quelle mani protese, quasi fosse un predicatore all'atto di impartire la propria benedizione,   il portiere ungherese Péter Disztl è stato per anni a guardarmi da un poster appeso alle pareti della mia  "affollata" cameretta.
Quel poster, allegato ad un numero primaverile  del "mitologico" Guerin Sportivo anno 1985,  festeggiava le finali delle coppe europee della stagione 1984/1985.
Dopo anni di digiuno una formazione ungherese approdava alle finali di una coppa europea.
Il portiere Disztl era a difesa dei pali del Videoton formazione che, fondata nel 1941, non aveva mai conquistato alcun titolo di prestigio nei confini nazionali e si affacciava da perfetta sconosciuta sul palcoscenico internazionale.
Il terzo posto in campionato nella stagione 1983/1984 consentì agli ungheresi di qualificarsi per la Coppa Uefa edizione 84/85.
Una cavalcata memorabile (con vittime illustri come il Paris St. Germain e il Manchester Utd)  portò Disztl e compagni, nella primavera del 1985, a contendere al Real Madrid  la Coppa Uefa.
In particolar modo nella gara di ritorno dei quarti di finale, contro il Manchester Utd,  Pèter Disztl  contribuì in maniera determinante a far andare avanti i suoi con una splendida parata nella lotteria finale dei calci di rigore.
Il doppio confronto finale  contro il Real Madrid cominciò male per il Videoton che venne sconfitto  per 3 reti a zero in casa.
Gli ungheresi, tuttavia, si tolsero  la soddisfazione di piegare per una rete a zero gli spagnoli nel tempio del Santiago Bernabéu nella sfida di ritorno.
Nella sua carriera Péter Disztl giocò 37 volte come portiere titolare della nazionale ungherese.
Insieme al fratello  Laszlo Disztl, difensore e compagno d'avventura nel Videoton,  Pèter partecipò all'ultima fase finale del mondiale di calcio a cui l'Ungheria prese parte: in Messico nel 1986.
Nella prima delle tre gare che l'Ungheria disputò in Messico Pèter Disdtl capitolò sei volte  contro le tremende bocche di fuoco dell'URSS  guidata dal Colonnello Lobanovski.
Nella seconda gara, che l'Ungheria vinse per 2-0 contro il Canada,  Disztl venne avvicendato tra i pali da Joszef Szendrei salvo ritornare titolare nell'ultima gara contro la Francia che vide i magiari sconfitti per 3 reti a 0. Era il 9  giugno 1986 e quella del portiere Disztl di quel giorno rimane, sinora, l'ultima gara da titolare di un portiere ungherese alla fase finale della Coppa del Mondo di Calcio.












Friedrich "Friedl" Koncilia e la sua inconfondibile maglia gialla


Nelle squadre di calcio formati da tanti tondini di legno  che avevamo ricavato con  i manici di vecchie scope il portiere dell'Austria aveva la maglia rigorosamente gialla.
Un giallo carico. Con una striscia nera in basso  e sopra il numero 1.
Quel tondino di legno era,  nella nostra fantasia, il celebre portiere Friedrich Koncilia detto Friedl.
Con quel nome così "italiano", il portiere austriaco, fu uno dei primi portiere del calcio internazionale che imparai a riconoscere.
Già attivo sin dai primi anni settanta con la formazione dell'Innsbruck, Koncilia è considerato tra i  migliori portieri austriaco di ogni epoca accostato a leggendari eroi del passato come Rudi Hiden, Peter Platzer, Walter Zeman e Kurt Schmied.
Nei mondiali di calcio che si disputarono in Argentina nel 1978  Koncilia disputò le sei gare che videro impegnata l'Austria e si guadagnò la stima degli addetti ai lavori.
Quando nel giugno del 1979 si disputò la gara amichevole tra l'Argentina campione del Mondo e la selezione del Resto del Mondo  Friedl  Koncilia venne chiamato a difendere la porta della selezione mondiale. Un attestato di stima per un professionista serio e preparato. Anche in quella storica occasione il portiere austriaco vestì la sua leggendaria casacca gialla.
Dopo otto stagioni passate in Tirolo tra il 1971 e il 1978  Koncilia  si trasferì in Belgio a difendere i pali dell' RSC Anderlecht nella stagione 1978/1979. Ma l'annata in Belgio non fu molto fortunata e, nella stagione 1979/1980 Koncilia ritornò in patria a difendere i pali dell'Austria Vienna,  club con il quale giocò sino al ritiro avvenuto al termine della stagione 1984/1985.
Titolare della maglia numero 1 della nazionale austriaca anche nel mondiale di calcio del 1982 in Spagna Friedl  Koncilia  indossò per ben 84 volte la maglia nazionale.
E quanto fosse ipnotizzante quella sua maglia gialla lo racconterà ai posteri l'attaccante della nazionale cilena Carlos Caszely che il 17 giugno 1982 ad Oviedo si trovò a calciare un rigore a favore del Cile contro l'Austria.
La porta troppo piccola e Koncilia con quella maglia gialla troppo grande al centro.
Caszely calciò sulla sua sinistra. Ma angolò troppo il tiro che, infatti, terminò fuori.
La leggenda di Friedl e della sua maglia gialla continuò ... 




sabato 15 novembre 2014

Dino Zoff e i ricordi di una vita vissuta da vero "furlan".


Quando chiedevano al "mio" Jean-Marie Pfaff quali fossero i colleghi che stimava di più  il belga citava sempre e solo due nomi: quello del nostro Dino Zoff e quello del tedesco Sepp Maier.
Due dei più grandi portieri del XX secolo. 
Nel momento in cui  l'IFFHS (Istituto di Storia e Statistica del Calcio) stilò la classifica dei migliori portieri di quel secolo questi furono i primi cinque classificati: 1) Lev Jascin 2) Gordon Banks 3) Dino Zoff 4) Sepp Maier 5) Ricadrdo Zamora.
Quindi Jean-Marie aveva scelto bene e, dei colleghi che riuscì ad ammirare tra i pali della porta avversaria ai suoi tempi,  Zoff e Maier  furono quelli che la storia avrebbe poi consacrato a Leggende del Calcio.
E la storia di Dino Zoff viene ora raccontata dal diretto interessato in un libro che, appena uscito, è già da considerare alla stregua di un "memento"  della storia umana - prima -  e calcistica - poi - di uno dei più grandi atleti dello sport italiano.
Un libro "importante". Perché, se la storia sportiva di Zoff è reperibile in diverse pubblicazioni, il pensiero che sta dentro all'uomo è qui espresso in maniera chiara dal diretto interessato.
E la sintesi di tutto può anche essere semplicemente racchiusa in quel titolo "Dura solo un attimo la gloria".
La storia di Zoff è la storia di un friulano vero. Un "furlan" per dirla nel dialetto friulano.
Dino Zoff è stato un grande campione ma è stato prima ancora un uomo coerente con sé stesso. Un tipo di personaggio che è difficile trovare oggi, creato con quello stampo che ora non c'è più.
Il racconto delle ore che seguirono il successo mondiale nella notte di Madrid del luglio 1982 potrebbe essere la sintesi di un modo "furlan" di intendere le cose della vita.
Zoff racconta che,   mentre i compagni  trovarono il modo di organizzare festeggiamenti "esotici" tra discoteche e ristoranti,  lui e il suo fraterno amico Gaetano Scirea si ritrovarono nella stanza dell'albergo e, con un po' di  nostalgia per le famiglie rimaste a Torino, si "concessero"  un pasto in camera, una bottiglia di vino buono e, alla fine, distesi sul letto si fumarono una sigaretta. Roba di altri tempi.
Scirea, come Zoff, era uomo con la U maiuscola. Campioni che hanno reso onore all'Italia intera e che, nella notte dei festeggiamenti,  non persero quel loro modo di essere speciali restando semplici. In tutto. 
Questo libro è "prezioso"  proprio perché  Zoff rivela sé stesso in modo totale e, pagina dopo pagina, il ritratto che ne viene fuori è quello di un Campione a tutto tondo.
"Dura solo un attimo la gloria" è ricco di aneddoti che ne misurano la statura umana, anche attraverso grandi testimonianze di affetto  come quando il celebre scrittore Mario Soldati gli disse "Eh  Zoff, ma lei lo sa di essere un Cavaliere dell'Ottocento ?" o ancora come quando Papa Wojtyla  gli disse "Anch'io sono stato portiere caro Zoff, lo sa ? E' un ruolo di grande responsabilità.". 
La storia del calcio mondiale è fatta di campioni leggendari e gesta epiche che si tramandano da generazioni e che ancora in futuro si tramanderanno di padre in figlio.
Quella di Dino Zoff è una di quelle storie lì: storia di un portiere che, a quarant'anni, alzò al cielo la Coppa del Mondo di Calcio ... in una gloria che sarà anche sì durata un attimo ... ma che resterà scolpita per sempre  nella storia del Calcio. Viva  Dino Zoff . Sempre.  





domenica 9 novembre 2014

Manuel Vitor Baia il Rodolfo Valentino del Calcio


Durante il volo che da Milano ci portava a Lisbona, nel settembre del  2000, ebbi l'occasione di scambiare qualche parola con un ragazzo portoghese che rientrava in patria dopo un viaggio di lavoro in Italia.
Ovviamente si parlò di calcio.
Erano appena terminati i campionati europei che videro la Francia sconfiggere in finale i nostri azzurri.
In semifinale i francesi sconfissero proprio i portoghesi in una sfida che fu ad altissima tensione.
La conversazione andò concentrandosi sul portiere portoghese Vitor Manuel Martins Baia, semplicemente detto Vitor Baia.
Con mia somma sorpresa il mio interlocutore si disse perplesso sulle prestazioni di Vitor Baia.
Ricordo che mi disse che secondo lui il portiere portoghese era più attento a non spettinarsi, a non mettere fuori posto un capello, piuttosto che a concentrarsi sui palloni che arrivavano nei pressi della sua area di rigore.
Il mio parere fu, invece, diametralmente opposto.
Rimarcai, quindi, la mia personale convinzione: cioè che se il Portogallo era arrivato sin alle semifinali parte del merito era senz'altro anche dell'esperto portiere.
Sul fatto che il nostro fosse sempre regolarmente ben pettinato non c'erano dubbi.
Una carriera, quella di Manuel Vitor Baia,  vissuta sull'asse Porto-Barcellona-Porto.
E' uno dei pochi giocatori ad aver vinto i tre maggiori tornei continentali europei: la Champions League con il Porto nel 2004, la Coppa delle Coppe con il Barcellona  nel 1997, e la Coppa Uefa con il Porto nel 2003.
Se a questo aggiungiamo che ha vinto anche la Coppa Intercontinentale, sempre con il Porto, nel 2004 ed è stato calciatore dell'anno in Portogallo nel 1989 e nel 1991 oltre ad essere nominato miglior portiere Uefa per l'annata 2003/2004 dopo aver vinto scudetti a ripetizione (10) con il Porto e uno in Spagna con il Barcellona ... ecco che abbiamo messo insieme la certezza di aver avuto a che fare con un campione vero.
Quando nel giugno del 2004 Vitor Baia non venne convocato dal tecnico brasiliano Felipe Scolari per disputare la fase finale del campionato europeo (che si svolse proprio in Portogallo)  ci fu una seria contestazione dei tifosi portoghesi: il portiere era infatti in un grandissimo stato di forma, e sarebbe sicuramente risultato utile alla causa portoghese.
L'avventura con la nazionale portoghese si concluse per Vitor Baia con il mondiale nippo-coreano del 2002, dopo aver collezionato ben 80 presenze.
Comunque la si voglia pensare, Manuel Vitor Baia è stato, di fatto e  senza dubbio, uno dei più grandi portieri della storia del calcio lusitano.
Che fosse sempre ben pettinato era un dettaglio certo parte del personaggio: Vitor Baia era un Rodolfo Valentino prestato al mondo del calcio.








sabato 8 novembre 2014

Henry Francillon e la leggenda di un portiere haitiano in Baviera


Quella del portiere haitiano Henry Francillon è una di quelle favole che, senza lieto fine, vengono dimenticate troppo presto e restano solo nella memoria di chi l'ha vissuta in "presa diretta" o (come nel mio caso) ha avuto la fortuna di leggere molte riviste di calcio stampate in Germania.
Quando la piccola Haiti debuttò nel mondiale di calcio disputatosi in Germania nel 1974 contro l'Italia di Ferruccio Valcareggi  tra i suoi pali c'era un gigante di nome Henry Francillon.
Per tutto il primo tempo gli attaccanti azzurri spedirono palle verso la porta di Haiti. 
Ma Francillon parò tutto. Sembrò quasi surreale. Quel portiere in  maglia gialla si impadroniva di ogni pallone scagliato contro la sua rete. Magari non con lo stile più ortodosso. Ma dannatamente efficace.
Alla fine del primo tempo il risultato era inchiodato, sorprendentemente, sullo 0 a 0.
Nella ripresa Haiti passò inaspettatamente in vantaggio con un gol "storico" dell'attaccante Emmanuel Sanon. Quel gol mise fine, dopo  1.142 minuti all'imbattibilità del nostro Dino Zoff tra i pali della nazionale.
Tra un miracolo e l'altro Francillon riuscì a mantenere inviolata la sua porta fino al 52° minuto quando l"abatino" Gianni Rivera siglò la rete del pareggio azzurro. 
L'Italia poi segnò ancora con un tiro deviato di Benetti e una rete di Anastasi.
La prestazione di Francillon fu superlativa e, nonostante i 3 gol subiti, il portiere fu il migliore in campo tra i suoi.
Nelle successive sfide mondiali con  Polonia e Argentina Francillon subì altre 11 reti, 7 dai polacchi e 4 dagli argentini.
Ciò nonostante il portiere di Haiti si guadagnò, sul campo, la fiducia del club tedesco di seconda divisione del Monaco 1860 che, proprio al termine di quel mondiale, lo ingaggiò.
Un sogno incredibile.
Un portiere haitiano tra i pali della seconda squadra della Baviera.
L'avventura,  o meglio, la favola di Francillon a Monaco non ebbe tuttavia  un  lieto fine.
Il freddo della Baviera e una serie di difficoltà legate alla lingua e allo stile di vita tedesco ostacolarono, non poco, l'inserimento di Francillon.
Dopo una stagione con sole 6 presenze da titolare divise tra campionato (5 gare)  e coppa nazionale(1 gara), nel giugno del 1975 Henry Francillon ritornò nella sua Haiti.
La favola di Francillon resterà, per sempre, negli annali e nei manuali della Zweite Bundesliga.
E resterà anche nella memoria di chi ama quel calcio di un tempo che fu ... che aveva la forza di regalare "sogni" e, comunque andava finiva spesso in "poesia".



Valdir Peres e la disfatta brasiliana del Sarrià


Accadde nel tardo pomeriggio del 5 luglio 1982 allo stadio Sarrià di Barcellona.
L'Italia di Enzo Bearzot si trovò di fronte il Brasile  nella partita decisiva per il passaggio alle semifinali del mondiale di calcio.
Nel girone a tre, che comprendeva anche l'Argentina,   l'Italia aveva battuto gli argentini con il punteggio di 2 reti a 1. 
I brasiliani  avevano fatto meglio, infliggendo a Maradona & Co. una sconfitta per 3 reti a 1.
La gara  tra Italia e Brasile fu dunque decisiva.
Da una parte Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni e Graziani.
Dall'altra Valdir Peres, Leandro, Junior, Cerezo, Oscar, Luizinho, Socrates, Falcao, Serginho, Zico ed Eder.
Formazioni stellari.
Secondo alcuni commentatori sportivi la nazionale brasiliana più spettacolare di ogni epoca fu proprio quella del 1982, allenata da Telè Santana.  Ma la discussione, in questo caso, potrebbe essere infinita.
Quel tardo pomeriggio del 1982 si fermò l'Italia intera. Tutti si era incollati davanti alla Tv oppure alla radio.
E ne ho un ricordo preciso, dato che anche mio padre (che solitamente lavorava sin tardi alla sera) arrivò in salotto per assistere all'incontro.
In quella partita, dove si fronteggiavano campioni leggendari che sono nei libri di storia del Calcio,  la differenza la fecero i due portieri: l'Italia vinse per 3 reti a 2 e si guadagnò così l'accesso alla semifinale contro la Polonia.
Il nostro Dino Zoff fu insuperabile tanto che, l'indomani mattina, la Gazzetta dello Sport ne celebrò le straordinarie parate decisive almeno quanto le reti del bomber Paolo Rossi.
Il portiere brasiliano Valdir Peres, invece,  venne messo alla gogna dalla stampa brasiliana che lo considerò (a Barbosa nel 1950 toccò uguale sorte) principale responsabile di quella che venne definita la "disfatta del Sarrià".
Titolare di una carriera più che dignitosa tra i pali del San Paolo, in quell'edizione 1982 del mondiale di calcio, il portiere brasiliano apparve come l'anello debole della selezione brasiliana.
Solo un anno prima, nel corso di una gara amichevole contro la Germania Ovest,   Valdir Peres fu grande protagonista allorché  parò un rigore al tedesco Breitner e, quando l'arbitro fece ribattere il tiro, ancora il grande centrocampista tedesco si vide respingere il tiro (scagliato sul lato opposto a quello della prima conclusione) dal portiere brasiliano.
Per ricorrere ad una metafora letteraria, richiamando il personaggio di Don Abbondio così come descritto da Alessandro Manzoni nei "Promessi Sposi"  possiamo affermare che, quella sera di inizio luglio 1982 sul prato del Sarrià il portiere brasiliano Valdir Peres "(...) era come un vaso di terracotta costretto a viaggiare con molti vasi di ferro".
Quella contro l'Italia fu la sua ultima partita con la maglia della nazionale brasiliana.