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domenica 8 settembre 2019

Quando Giuliano Terraneo fece un provino per il Manchester Utd.



Accadde la prima settimana di settembre del 1987.
Giuliano Terraneo, il "Poeta di Briosco" , ex portiere di Torino, e Milan,  dopo aver risolto il suo contratto con la Lazio formazione con la quale disputò 38 gare nella stagione 1986/1987,   si ritrovò nei primi giorni di settembre ad essere senza squadra.
Il "Poeta di Briosco", 33 anni,  portiere affidabile,   il ritratto del quale potete trovare in questo post http://allafinedelprimotempo.blogspot.com/2013/08/giuliano-terraneo-il-poeta.html , si ritrovò così ad essere sul mercato, disponibile a qualsiasi altra nuova avventura nel mondo del calcio.
Contemporaneamente a Manchester, sponda United, dopo che un serio infortunio al ginocchio andò a compromettere  la carriera del portiere ed idolo locale  Gary Bailey "Il Colosso Biondo" (di cui ho narrato le vicende nel seguente post http://allafinedelprimotempo.blogspot.com/2013/05/gary-bailey-il-colosso-biondo.html )  l'allenatore e manager scozzese  Alex Ferguson si mise alla ricerca di un valido sostituto cui affidare la maglia numero 1 dei "Diavoli Rossi".
I nomi messi in bacheca  furono altisonanti: prima il russo Rinat Dasaev e poi il belga Jean-Marie Pfaff. Tuttavia non se ne fece nulla per entrambi: per il russo il problema era l'allora "temibile" "Cortina di Ferro" che rendeva pressochè impossibile qualsiasi tipo di approccio, mentre per il ricciolone belga l'accordo fu impossibile stante la forte volontà del Bayern Monaco di trattenere Pfaff in Baviera come valore aggiunto di una formazione già ottima.
Nel mondo del calcio le voci "girano" e così saputo che il Manchester Utd. era alla ricerca di un numero 1 affidabile il procuratore italiano Giuseppe Bonetto  prese contatti con  Alex Ferguson  e per Giuliano Terraneo si fece concreta la possibilità di trovare collocazione proprio a Manchester.
Detto e fatto la prima settimana di settembre Giuliano Terraneo volò a Manchester e provò per qualche giorno con i "Diavoli Rossi".
Le cose non andarono male sul campo dove Terraneo poteva far valere la sua pluriennale esperienza.
Tuttavia del possibile trasferimento non se ne fece nulla.
Ufficialmente a Manchester dissero che il portiere italiano non aveva quella stazza sufficiente a consentirgli di dominare l'area di rigore che, notoriamente, nel calcio inglese, viene grandinata da traversoni che rendono il gioco aereo essenziale nello sviluppo delle gare chiamando in causa spesso e volentieri il portiere di turno.
Terraneo con i suoi 182 cm di statura venne, in sostanza, ritenuto non idoneo a sostituire i 188 centimetri di Gary "Colosso Biondo" Bailey.
Qualche voce più maligna attribuì, invece, il mancato ingaggio di Terraneo allo stipendio richiesto  (circa 150 mila sterline -  350 milioni di lire per un anno di contratto), ritenuto troppo elevato per lo standard inglese di allora, anche considerato che il capitano del Manchester Utd. e della nazionale inglese Bryan Robson percepiva molto di meno (100 mila sterline l'anno).
Va considerato che, ai tempi, il calcio italiano e la serie A era al top nel mondo in quanto a stipendi pagati ai pedatori dell'epoca e questo, di fatto, non fu molto favorevole a Terraneo
Il Manchester Utd di Ferguson si arrangiò alla bene e meglio nella stagione 1987/1988 alternando  senza particolari fortune Chris Turner e Gary Walsh mentre  nella stagione successiva Ferguson andò a cercare il suo numero 1 in Scozia portando a Manchester  l'ottimo Jim Leighton. 
Nella storia di Giuliano Terraneo resterà per sempre la memoria di quell'esperienza con la maglia dei "Diavoli Rossi" addosso, ma l'Inghilterra, "La Perfida Albione",  non è terra che ama i  Poeti degli altri e così il "Poeta di Briosco" ritorno in Patria.
Terraneo trovò posto tra i pali del Lecce squadra con la quale disputò le ultime tre stagioni della sua carriera agonistica prima del suo ritiro al termine della stagione 1989/1990.














sabato 7 settembre 2019

Dino Zoff e quella scura notte di Atene


Accadde la notte del  25 maggio 1983 allo Stadio Olimpico di Atene.
Quella notte la Juventus del Leggendario  portiere-capitano  Dino Zoff affrontò la formazione tedesca dell'Amburgo nella sfida finale che assegnò la Coppa dei Campioni d'Europa per Club per la stagione 1982/1983.
Zoff si presentò in campo per quella importante finale esattamente 318 giorni dopo aver sollevato da Capitano della Nazionale Italia la Coppa del Mondo di Calcio vinta in Spagna  la notte di Madrid dell' 11 luglio del 1982.
Nel giro di poco meno di un anno Zoff  si ritrovò così alle prese con due partite finali di estrema importanza,  dimostrando (se mai ce ne fosse stato bisogno) di essere, in quel periodo, in Europa e nel Mondo,  il Numero 1 dei Numeri 1, "DinoMito", appunto, Una Leggenda.
Nella vita le coincidenze sono una parte integrante del cammino e pertanto non fu solo un caso che, anche questa volta, come era capitato a Madrid, la finale si disputò tra rappresentantive di Italia e Germania. 
Il dirimpettaio di Dino Zoff trai  pali della formazione tedesca, in quella notte di Atene, era un giovane e talentuoso ragazzotto di 19 anni: Ulrich "Uli" Stein, che fece del suo e bene, per mantenere inviolata la sua porta.
La "Vecchia Signora" arrivò a quella finale di Atene da imbattuta, mentre i tedeschi dovettero cedere una partita, nei quarti di finale, alla formazione della Dynamo Kijev che vinse ad Amburgo per 1-2 dopo aver però perso all'andata a Tbilisi per  0-3.
La notte di Atene  divenne subito amara per Dino Zoff.
Dopo otto minuti e rotti di gioco, e dopo che la Juventus aver avuto anche l'occasione di passare in vantaggio, l'Amburgo segnò con Felix Magath.
Il centrocampista dell'Amburgo ricevuta palla dal compagno Groh avanzò decentrandosi al limite del vertice dell'area di rigore juventina e, poco meno di un metro dalla linea di demarcazione dell'area stessa fece partire un tiro a parabola che sorprese nettamente Zoff e si infilò in perfetta diagonale all'incrocio dei pali. Quel colpo ad effetto di Magath fu il classico "lampo nel buio". 
I restanti 80 minuti di gara non portarono altre reti e così la formazione tedesca si vide consegnare la Coppa alzata al cielo nella notte di Atene dalle mani del capitano Horst  Hrubesch.
Il destino impedì, di fatto, a Dino Zoff di vincere quella Coppa che sarebbe stata il sigillo finale di una Carriera Splendente.
Quella notte ad Atene,  togliendosi di dosso la sua maglia numero 1  Zoff chiuse la sua carriera a livello di Club e solo quattro giorni dopo, il 29 maggio 1983,  "DinoMito"  disputò la sua ultima partita ufficiale della carriera vestendo per la 112 e ultima volta la maglia azzurra nella sconfitta per 2-0 subita dall'Italia contro la Svezia a Goteborg.
La notte di Atene restò un rimpianto ma non tolse nulla alla Leggenda Carriera di Dino Zoff.
Un Gigante. 
Per Sempre.







(Amburgo - Juventus   0-1)

















martedì 27 agosto 2019

I "Portieri Acrobati" degli anni '80



Correva la metà degli anni '80 quando, tra  le tante iniziative editoriali che si affacciarono in edicola sullo scaffale dello sport,  arrivarono tutta una serie di numeri "monografici"  speciali del mensile "SUPERGOL"  dedicati di volta in volta ai protagonisti  del Calcio suddivisi  per i vari  ruoli che gli stessi occupavano in campo.
Così arrivò anche il turno di quelli che, nel titolo del giornale, furono definiti i "PORTIERI ACROBATI".
Questo numero de "LE STELLE DI SUPERGOL"  datato gennaio 1985 mi venne regalato dal mio amico Fabio "Bucci" Busnelli ed è tuttora conservato tra gi scaffali  dei "Preziosi Testimoni Del Calcio del Bel Tempo che Fu".
La carrellata degli eroi con il numero 1 sulle spalle contemplava i tre portieri che allora andavano per la maggiore nel campionato italiano: il giovane interista Walter Zenga, poi il romanistra Franco  Tancredi e il toscano Giovanni Galli portiere della Fiorentina ai quali venne dedicata gran parte del numero speciale.
Tra accenni storici ai  Grandi e Leggendari  Portieri  (Jascin, Gilmar, Zamora ecc) e un buon  resoconto sui Grandi Guardiani Azzurri (Combi, Zoff ecc) trovarono spazio anche i Guardiani che al tempo andavano per la maggiore in Europa e nel Mondo. Per intenderci, parlo di tutta gente che poi ha fatto la storia del Calcio, come il sovietico Dasaev, il tedesco Schumacher, l'inglese Clemence con la sola, unica e grande, mancanza del "mio" belga Pfaff il quale, suppur regolarmente citato nei testi degli articoli, non trovò spazio nella "carrellata fotografica".
A chiudere un pezzo dedicato all'immenso Dino Zoff.
A quei tempi, quando la carta era l'unica via di informazione "enciclopedica",  iniziative editoriali come quella di SUPEGOL ci consentivano di coltivare "Passioni Vere", che potevi toccare con mano e che, lette e rilette, servivano a formare quella conoscenza che poi ti portavi dietro per sempre.
Sono passati quasi 35 anni ed è cambiato tutto il mondo.
Restano, di quei personaggi narrati nel giornale, i nostri  ricordi di ragazzi.
Resta la storia, Unica... dei "Portieri Acrobati".
Leggende del Bel Tempo che Fu.





















martedì 25 giugno 2019

Il Mondiale del '78 , quello dei capelli di Cuellar e del rifiuto di Carrascosa





di Roberto Rizzetto


Prendendo in prestito la frase con la quale il giornalista sportivo Federico Buffa era solito introdurre il programma televisivo “Storie mondiali”, posso affermare che i mondiali hanno scandito, con cadenza quadriennale, il ritmo della mia vita. Ho addirittura un ricordo, seppur molto sbiadito, del mondiale del 74 mentre, per ovvie ragioni, il mundial spagnolo dell’82 vinto dall’Italia è quello a cui sono emotivamente più legato. In mezzo c’è stato il mondiale d’Argentina del 78 che mi ha fatto scoprire la passione per il calcio.                              
All’epoca avevo dieci anni e l’interesse per il football era legato principalmente alla raccolta di figurine della Panini. Fu proprio questa competizione calcistica, trasmessa per intero dalla RAI, a farmi innamorare di questo sport.               Guardai tutte le partite trasmesse nel pomeriggio, mentre, a causa del fuso orario, i miei genitori mi consentirono di assistere soltanto al primo tempo dell’incontro serale che aveva inizio alle 22 italiane. E vedendo la prima frazione di gioco di Messico-Tunisia rimasi folgorato dalla nazionale messicana, non tanto per il loro tasso tecnico o per il modulo di gioco, quanto per le fluenti capigliature sfoggiate dai calciatori messicani. In particolare il mio idolo divenne immediatamente un centrocampista offensivo di nome Leonardo Cuellar, la cui zazzera di riccioli neri era davvero impressionante…                                       Ricordo che il sabato successivo, al mercato, convinsi mia madre ad acquistare una maglietta verde scuro (il colore sociale della divisa della nazionale centroamericana) sul retro della quale, con del nastro adesivo, aggiunsi un rudimentale numero 17 (ovvero il numero di Cuellar). Inoltre le mance che in quel periodo chiesi con insistenza ai miei familiari vennero sistematicamente convertite nell’acquisto delle figurine che la Panini aveva messo in circolazione in occasione del mondiale.  Aprivo ogni pacchetto con la speranza di trovare la figurina di un calciatore messicano, magari proprio quella di Cuellar…  
Tornando alla partita, quando al termine del primo tempo Vasquez-Ayala portò in vantaggio il Messico su calcio di rigore urlai di gioia. Andai a dormire sognando la nazionale messicana che alzava al cielo la coppa del mondo.
Con profonda delusione appresi il giorno successivo che la partita era terminata 3-1 per la Tunisia. Nei due successivi incontri il Messico rimediò altrettante sconfitte (per 6-0 contro la Germania Ovest e per 3-1 nei confronti della Polonia) finendo così mestamente al sedicesimo e ultimo posto! 
Optai quindi per un tiepido tifo per gli azzurri, che finirono al quarto posto disputando un ottimo campionato del mondo. Ebbero modo di rifarsi con gli interessi quattro anni dopo, ma questa è un’altra Storia…                                  
La “rilettura” del mondiale argentino con gli occhi da adulto ebbe su di me l’effetto di un pugno sullo stomaco. Fu quello un esempio eclatante di come i regimi utilizzassero lo sport a fini propagandistici, e infatti coincise con il momento di maggior popolarità della dittatura del colonnello Videla.
Fu un mondiale che l’Argentina vinse raggiungendo la finale grazie a quella che venne ribattezzata la “marmellata peruviana”, ovvero un poco credibile 6-0 rifilato al Perù in una partita che incredibilmente non venne disputata in contemporanea con quella del Brasile, ovvero l’altra pretendente alla finale.  
Ma molto più sconvolgente fu ciò accadde in Argentina (anche) durante quel mondiale. Migliaia furono infatti i “desaparecidos”, ovvero le persone arrestate per motivi politici (oppure accusate semplicemente di avere compiuto attività anti governative) delle quali si persero le tracce. Si seppe in seguito che molti di loro vennero prima narcotizzati e poi lanciati dai portelloni aperti degli aerei verso le acque scure dell’oceano. Durante “Argentina 78” la tv olandese diffuse le immagini della coraggiosa marcia delle “madri di plaza de Mayo” che, sventolando un fazzoletto bianco, chiedevano giustizia per una generazione scomparsa.                                                                                                       Ma ci fu anche chi ebbe il coraggio di non chinare la testa di fronte a questa sanguinaria dittatura. E’ il caso di Jorge Carrascosa, detto “El lobo”, ovvero “il lupo”. Carrascosa era un terzino non particolarmente dotato dal punto di vista fisico e tecnico, tuttavia, grazie al suo temperamento ed al suo carisma, era riuscito a guadagnarsi i gradi di capitano della nazionale albiceleste con la  quale aveva disputato il mondiale del 74 e collezionato 30 presenze, segnando anche una rete. A livello di club Jorge si laureò due volte campione d’Argentina, la prima nel 71 con il Rosario Central, due anni dopo vestendo la casacca bianca dell’Huracan, squadra alla quale legò gran parte della carriera arrivando a disputare ben 287 partite.                                                              
Ma all’alba di quel mondiale che l’Argentina si accingeva ad ospitare (tra l’altro con una formazione per la prima volta competitiva) lasciò la nazionale in segno di protesta nei confronti di quella dittatura militare che governava il paese. 
A nulla valsero i ripetuti tentativi del CT Luis Cesar Menotti detto il “flaco” di fargli cambiare idea. Anzi, esattamente un anno dopo, il trentunenne Carrascosa diede l’addio al calcio giocato.                                                                            Sono passati 41 anni da quel mondiale ed oggi Cuellar è il selezionatore della modesta nazionale femminile messicana. Del suo look “afro” di una volta non è rimasta traccia alcuna visto che porta i capelli (ormai completamente bianchi) corti ed ha il viso perfettamente rasato. 
Jorge Carrascosa invece, una volta terminata la carriera, divenne assicuratore. 
A suo dire un lavoro onesto che gli permise di conoscere tante belle persone e di vivere nel quartiere di Buenos Aires in cui era nato. In una recente intervista, alla domanda se fosse felice delle scelte fatte rispose: “ Adesso, alla mia età, sono verso la fine della partita. Però mi sembra di averla giocata bene!”.

sabato 27 aprile 2019

Italo Cucci "Un nemico al giorno. Storia di un giornalista."



"Al Guerin Sportivo
amico dei miei amici."

Si apre così, con questa dedica, l'autobiografia del  "mio"  Direttore  Italo Cucci.
UN NEMICO AL GIORNO. STORIA DI UN GIORNALISTA edito da Limina nella primavera del 2003 raccoglie la vita, le opere, e  le missioni di quello che, in maniera indiscutibile,  è  l'Emblema vivente dello Spirito proprio del  Guerin Sportivo, il più antico periodico sportivo al Mondo.
E proprio dalle pagine dell'antico Guerino, io, all'epoca quattordicenne,  ho imparato a conoscere ed apprezzare Cucci e il suo lavoro.
Ho vissuto, attraverso le pagine di quel Guerin Sportivo delle annate  1985-1986, lo Zenit della serie A, quel Campionato di Calcio dove tutti insieme, i migliori calciatori del mondo si davano battaglia: Maradona, Platini, Rummenigge, Junior, senza dimenticare i nostri Giganti, come Scirea, Baresi, il bomber Pruzzo e via raccontando.
Sempre grazie a Cucci partecipai a Mexico 1986, pur restando a casa. 
Cronache puntuali e foto splendide dei grandi collaboratori dell'epoca (Giglio, Zucchi, Thomas) mi raccontarono tutto il mondiale della "Mano de Dios"  in un epoca, quella,  dove internet non esisteva ancora e la carta restava l'unica fonte di documentazione consultabile.
Per filo e per segno quell'estate 1986 l'ho raccolta in un post, questo: L'estate del 1986. Quella di Maradona e Pfaff. Quella del Mondiale del Messico
E per il Natale di quel 1986 i miei genitori mi regalarono proprio quel libro che a lungo avevo sognato e che ancora conservo come uno dei più cari ricordi della mia adolescenza : 


Devo Ringraziarla  Italo Cucci,  Direttore.
Grazie per avermi regalato articoli da mandare a memoria, pagine su pagine vergate, pure quelle come fosse stata "la Mano di Dios" e  copertine,  e immagini e ricordi e vita.
Eravamo a metà degli anni ottanta ...
E  ... ottanta, quest'anno, è un traguardo. 
Grazie Italo.
Sempre.









giovedì 25 aprile 2019

Sunshine on Leith




                       
Di  Roberto  Rizzetto


Mark Renton detto “Rent” ed il suo amico Spud hanno appena commesso un furto e sono inseguiti da due poliziotti. Mentre si fiondano a perdifiato lungo Princes Street (la via che divide il centro storico di Edimburgo), la voce fuori campo di Rent intavola un articolato discorso sulle scelte che si fanno nella vita che si conclude con questa frase: “Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando hai l’eroina?”.                                                                                        
Inizia così TRAINSPOTTING, film del 1996 diretto da Danny Boyle, qui alla sua seconda regia dopo il bellissimo “Piccoli omicidi tra amici”.                                   
La pellicola è stata inserita al decimo posto nella lista dei migliori cento film britannici del XX secolo dal British Film Institute, mentre un sondaggio l’ha definito il miglior film scozzese di tutti i tempi.                                              
Il lungometraggio, ambientato interamente a Edimburgo e più precisamente nel sobborgo portuale di Leith, racconta le vicissitudini di un manipolo di amici eroinomani nella Scozia degli anni 80. E durante la narrazione sono continui i riferimenti alla squadra di calcio per la quale fanno il tifo i protagonisti della storia, ovvero l’Hibernian Football Club, che nel film non viene rappresentata come una squadra da celebrare ma come un modo di essere, rivendicando con orgoglio l’origine cattolica, l’appartenenza alla classe operaia ,il rimpianto per il vecchio partito labourista vicino ai sindacati e la simpatia per la causa indipendentista irlandese.                                                                        
Non ho ancora detto che la pellicola è tratta dal bestseller scritto da Irvine Welsh tre anni prima. E sarà che io e Welsh festeggiamo il compleanno lo stesso giorno (anche se lui ha esattamente dieci anni più di me, visto che è nato a Leith il 27 Settembre del 1958), sarà per la sua capacità di descrivere fatti, personaggi e situazioni in maniera cruda ma assolutamente reale, fatto sta che considero Irvine Welsh il mio scrittore prediletto. Una caratteristica ricorrente nelle sue opere è la presenza degli stessi personaggi da un romanzo all’altro (ad esempio “Porno” scritto nel 2002 vede come protagonisti gli stessi “skagboys” conosciuti in “Trainspotting”). Essi condividono la passione calcistica per gli “Hibs” e l’avversione per gli “Hearts”, ovvero l’altra squadra di Edimburgo riconducibile ai protestanti, ai massoni ed ai lealisti della corona inglese. Guarda caso il protagonista (negativo) del terzo romanzo di Welsh intitolato “Il lercio” è Bruce Robertson, un deplorevore agente di polizia di Leith ed incarnazione dei peggiori mali della società, ovviamente tifosissimo degli Hearts…                                                                                                     Qualche anno fa ho avuto la fortuna di compiere un viaggio ad Edimburgo, città meravigliosa della quale mi sono subito perdutamente innamorato. E dopo aver visitato il maestoso castello (che pare aver regalato molti appunti alla scrittrice J.K.Rowling per la stesura di Harry Potter), dopo aver passeggiato per Royal Mile ed aver respirato un’atmosfera allegramente alcolica all’interno dei suoi caratteristici pub, non potevo che diventare a mia volta un simpatizzante della casacca biancoverde degli Hibees .                                                               
E allora va detto subito che la bacheca di questa squadra è alquanto scarna, visto che la Scottish Premiership (la massima divisione scozzese) è praticamente una questione privata tra le due squadre di Glasgow. Nei 122 campionati di SP i Rangers vantano 54 titoli ed il Celtic 49, ma mentre sto per scrivere questo pezzo manca solo la matematica all’ottavo titolo consecutivo di quest’ultimi. L’Hibernian ha vinto 4 titoli, l’ultimo dei quali nel lontano 1952.              
L’ultima volta che il campionato non è stato vinto da una squadra di Glasgow è avvenuto nel 1985 grazie all’Aberdeen. E’ evidente quindi che in un campionato composto da 12 squadre e lungo ben 38 giornate, alla fine, il differente tasso tecnico si fa sentire…                                                                
Per gli “Hibs & Co.”meglio allora puntare sulla Scottish Cup, ovvero la Coppa di Scozia, la più antica competizione calcistica ufficiale di Scozia e la seconda più antica del regno Unito e del mondo. La formula del torneo (mai cambiata fin dalla prima edizione del 1873) che prevede partite uniche in ordine di sorteggio con eliminazione diretta, ha fatto sì che non ci fosse un’egemonia schiacciante come in campionato, tuttavia anche in questo caso Celtic e Rangers hanno fatto incetta di trofei con rispettivamente 38 e 33 affermazioni.            
L’Hibernian FC ha vinto tre volte la Scottish Cup, ma l’ultima vittoria risale addirittura al 1902. Dopo sono arrivate altre 10 finali, tutte desolatamente perse…                                                                                                              Ed arriviamo alla stagione 2015-16. Dopo la rovinosa retrocessione avvenuta due anni prima, gli Hibs si trovano nella Scottish Championship (la serie B scozzese). L’annata sta volgendo al termine e i “Cabbage” (letteralmente “cavoli”, soprannome dato dai fans ai calciatori dell’Hibernian) hanno appena perso la finale di coppa di Lega (contro il Ross County subendo un goal al novantesimo) e sono usciti in semifinale dai playoff/promozione per mano del Falkirk, subendo anche in questo caso un goal al novantesimo.                       
 I biancoverdi hanno tuttavia raggiunto l’ennesima finale di Scottish Cup (grazie soprattutto ad un’incredibile rimonta negli ottavi di finale nei confronti degli odiati cugini degli “Hearts”) dove troveranno i Rangers Glasgow.    
Quest’ultimi, dopo il fallimento del 2012, hanno appena ottenuto la promozione nella massima serie, e contano, vincendo la coppa, di tornare l’anno successivo a calcare i palcoscenici europei.                                                                     Sabato 21 Maggio 2016, in un raro pomeriggio di sole, allo stadio “Hampden Park” di Glasgow (generalmente teatro delle partite della nazionale scozzese)  HibernianFC e Glasgow Rangers si contendono la 131a edizione della Scottish Cup. Pronti, via e i biancoverdi di Edimburgo al terzo minuto di gioco sono già in vantaggio grazie all’attaccante irlandese Anthony Stokes che, lanciato sulla fascia sinistra dal compagno di reparto Jason Cummings, entra in area e fulmina il portiere avversario con un preciso “piatto” rasoterra sull’angolo lontano. Ma ben presto i “gers” si riorganizzano e pervengono al pareggio con un colpo di testa di Kenny Miller (37 anni e 68 presenze nella nazionale scozzese). Due sussulti prima della fine del primo tempo, con i legni colpiti dagli autori dei due goal. Stokes centra infatti il palo con un tiro da fuori due minuti dopo il pareggio, mentre Miller, su perfetto calcio d’angolo battuto da McKay, fa tremare la traversa con un potente colpo di testa.                             
Quando nella ripresa Andy Halliday ribalta il risultato grazie ad una precisa staffilata da fuori area per i venticinquemila tifosi dell’Hibernian presenti si materializza il fantasma di un copione già visto, con i propri beniamini sconfitti proprio ad un passo dal traguardo. Del resto quella era una coppa maledetta, che gli Hibs non erano riusciti a portare a casa nemmeno negli anni cinquanta, quando avevano vinto due campionati, o nei primi anni ottanta, quando potevano annoverare tra le proprie fila un giovanissimo attaccante nordirlandese, tale George Best.                                                                        
A venti minuti dalla fine l’allenatore dei “Cabbage”, l’inglese Alan Stubbs, si gioca l’ultima carta e toglie il difensore Fontaine rimpiazzandolo con il centrocampista dai “piedi buoni” Liam Henderson, nella speranza che i suoi cross in mezzo all’area vengano raccolti dagli attaccanti Stokes e Keatings. Ottantesimo minuto. Calcio d’angolo sulla destra per l’Hibernian. Se ne incarica proprio il numero 3 Liam Henderson (oggi in forza all’Hellas Verona) che pennella un delizioso cross sul primo palo sul quale si avventa di testa Anthony Stokes per il goal del pareggio. “Stokes is on fire!” cantano i fans biancoverdi di colpo rigenerati. Poco dopo da bordo campo viene esposto il tabellone luminoso che indica che saranno quattro i minuti di recupero prima dei supplementari. Lo straripante Stokes impegna ancora il portiere avversario Foderingham con un potente tiro di sinistro deviato in angolo. Come una decina di minuti prima è ancora Henderson ad incaricarsi del tiro dalla bandierina. Sul cross in mezzo all’area stacca di testa il capitano David Gray ed il pallone si insacca sulla destra dell’incolpevole portiere. L’Hit dei Boney M. “Daddy Cool” diventa “David, David Gray” cantata dagli Hibernian Fans, per i quali due minuti dopo scatta l’apoteosi : dopo un digiuno durato 114 anni l’Hibernian è tornato a vincere la Coppa di Scozia!                                                                                                 
Anthony Stokes è “man of the match” e diventa un eroe biancoverde. E lo rimarrà per sempre, anche oggi che gioca nel Tractor Sazi Tabriz, club di prima divisione iraniana! David Gray alza al cielo la coppa e dedica il trofeo a Sam Martinez, un tifoso biancoverde di 106 anni presente allo stadio. E mentre i tifosi dei Rangers lasciano mestamente lo stadio i fans biancoverdi intonano il loro inno, SUNSHINE ON LEITH, scritto da due gemelli musicisti di Leith, Charlie e Craig Reid, in arte i “The Proclaimers”.                                            
Il giorno successivo un “oceano biancoverde” accompagnerà la squadra, sfilata su un bus scoperto con tanto di coppa appena conquistata al seguito, dalla centralissima Royal Mile (la via principale di Edimburgo) fino a Leith, vero feudo del tifo biancoverde.