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sabato 7 marzo 2015

"L'anno in cui miei genitori andarono in vacanza". La storia del piccolo Mauro che nell'estate del 1970 diventò un portiere.

 

Quando si pensa ai film sul calcio quasi sempre si tirano in ballo quei tre o  quattro titoli. 
Sempre quelli: "FUGA PER LA VITTORIA", "SOGNANDO BECKHAM", e poi i nostri "L'ALLENATORE NEL PALLONE" e "ECCEZZZIUNALE VERAMENTE".
Quello certamente più famoso è quel "FUGA PER LA VITTORIA" che vedeva protagonisti al fianco di un attore come Stallone calciatori veri come il grande 'O Rey Pelè, Ardiles e altri grandissimi della storia del calcio.
Ora vi vorrei parlare della storia del piccolo Mauro (interpretato dal bravo Michel Joelsas), bambino brasiliano di 12 anni, che è il protagonista del film "L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA" film diretto dal regista brasiliano Cao Hamburger.
Siamo in Brasile ed è l'immediata vigilia dell'evento calcistico dell'anno: il mondiale di  MEXICO 1970.
I genitori del piccolo Mauro, a causa della loro militanza politica, devono fuggire dalla polizia brasiliana che li cerca. Così dicono al piccolo che devono andare in vacanza per qualche giorno e lo affidano al nonno paterno. Da Belo Horizonte si spostano quindi a San Paolo.
La sorte però è avversa. Infatti, lo stesso giorno che Mauro arriva per stare dal nonno, questi viene colto da infarto e muore.
Il piccolo che sosta davanti all'appartamento del nonno è ignaro di questo e sarà un vicino di casa del nonno, il signor Shlomo, a informare Mauro dello stato delle cose.
Slomo, ebreo di origini polacche, è un uomo che vive solo e quindi decide di prendersi cura di Mauro.
La convivenza tra i due però non sarà semplice.
Ad alleviare questa situazione, per Mauro, è la presenza, nello stesso palazzo di una bambina, Anna (l'ottima Daniela Piepszyk), con la quale il piccolo stringerà un forte legame di amicizia e di tenera "simpatia".
Nel giocare con Anna e gli altri bambini del quartiere capita che,  un giorno,  Mauro si perda.
Finisce così all'interno di un bar dove lavora Irene una splendida ragazza mora (interpretata da Liliana Castro). La ragazza si offre di riaccompagnare Mauro a casa e, allo stesso tempo lo invita ad andare al bar  a vedere la partita inaugurale del mondiale che vedrà il Brasile affrontare la nazionale della Cecoslovacchia.
Ma il piccolo, il giorno della partita, non vorrebbe andar via da casa perché il padre gli aveva promesso che insieme con la mamma sarebbero tornati dalla vacanza per l'inizio del campionato mondiale.
Così il piccolo resta ad osservare, insieme al vecchio Shlomo, il Brasile passeggiare sopra la Cecoslovacchia.
Mauro gioca al calcio ma ancora senza aver capito esattamente in quale ruolo giocare.
Tutto cambia il giorno in cui, nel piccolo campetto del quartiere di Bom Retiro, la squadre degli immigrati di origine ebrea affronta la squadra degli immigrati italiani. 
Ad un tratto irrompe in campo la moto di Edgar, fidanzato di Irene, che va a parcheggiare dietro la porta degli ebrei. Tolto il casco il pilota della moto si rivela essere un afroamericano con la folta chioma ed è lui che prende posto tra i pali della porta degli ebrei. E sarà il protagonista. Parerà tutto e pure un calcio di rigore inventato di sana pianta dall'arbitro.
In quel momento, quando Edgar para il rigore,  il piccolo Mauro capisce  cosa vuole essere: "Volevo essere negro e volare tra i pali." 
E da lì in poi  Mauro sarà portiere e ricorderà quello che suo padre diceva sempre: "Il portiere è l'unico che non può sbagliare".
Il film prosegue poi con la cavalcata trionfale del Brasile verso la finale mentre, Mauro, è sempre in attesa che i suoi genitori ritornino.
Il legame con la piccola Anna diventa sempre più forte. 
La bambina, un giorno, gli porta in dono la figurina mancante della raccolta dedicata al mondiale messicano: a Mauro mancava solo quella: la mitica figurina del brasiliano Everaldo. 
Quel regalo inaspettato è per il compleanno gli dice Anna. E a Mauro che gli risponde che non è quello il giorno giusto la bambina fa spallucce.
Ma il rapporto tra i due è svelato, in maniera sublime, dal registra brasiliano allorché ci regala il primo piano di Anna seduta rassegnata a vedere Mauro ballare con un altra bambina nel corso di una piccola festa della comunità  yiddish. La sequenza seguente vede Mauro che si volge verso la sua amica e con un ritmo di ballo sempre più forsennato le porge la mano e la invita al ballo: l'immagine del volto di Anna raggiante è emozionante.
Arriva il giorno della finalissima del Mondiale ma dei suoi genitori Mauro ancora non sa nulla.
Ha capito, vedendo un giorno degli scontri e dei tafferugli tra militari e studenti, che c'è nell'aria qualcosa. Ma il regista sfiora la tematica socio politica e attraverso gli occhi del bambino il tono non diventa mai drammatico.
Nella finale mondiale il  Brasile di Pelè incontra l'Italia nel leggendario stadio Azteca di Città del Messico.
Mauro è al bar insieme ad Anna, Irene, Edgar e tutti gli amici del quartiere Bom Retiro.
Ad un certo punto vede passare  un taxi con il signor Shlomo che, nel frattempo,  era stato  fermato dai militari perché ritenuto complice del movimento anti-regime.
Mentre il Brasile segna la rete del 2 - 1, e nel bar scoppia la festa più sfrenata,  Mauro esce nelle strade deserte di Bom Retiro e in una atmosfera surreale si dirige a casa per riabbracciare il vecchio Shlomo. Tutto intorno a lui è silenzio. Come in un rituale religioso si sta compiendo il miracolo brasiliano e per strada ci sono coriandoli verde-oro ovunque.
Non vi dico come va a finire perché, se non l'avete visto, il finale non voglio rovinarvelo.
Trovare un film brasiliano dove il protagonista si chiama Mauro mi è parsa coincidenza davvero interessante. Scoprire poi che questo bambino si innamora di un portiere e diventa lui stesso un portiere l'ho trovato esattamente coincidente con la mia vicenda umana. 
Quelle strane traiettorie del destino che, per quanto si possa dire che il film è finzione (anche se il regista ci avverte, alla fine, che la vicenda è tratta da una storia vera) lasciano sorpresi.
E questo film mi ha sorpreso. Molto.
Mi ha emozionato e mi ha rimandato alla mente la mia infanzia passata a giocare per la via in strada o all'oratorio... sognando di essere un giorno Pfaff, un altro Zenga, un altro Schumacher ... tutti i portieri del mondo...
"Il portiere è l'unico che non può sbagliare" ... in una frase tutto il peso di quell'omino che, vestito diversamente dagli altri, sosta tra tre legni di una porta sperando di volare a bloccare palloni compiendo traiettorie incredibili. 
Lui, il portiere.
Il mio eroe...   padrone del destino proprio ... e spesso anche di quello altrui.





(La locandina originale del film)









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