Visualizzazioni totali

domenica 11 novembre 2012

Ottorino Piotti ... tra i pali del Milan


Ottorino Piotti è stato uno degli eroi della mia infanzia.
Portiere spettacolare e preciso negli interventi più acrobatici dopo aver disputato diversi campionati nell'Avellino approdò al "mio" Milan nella stagione 1980/1981 l'anno, funesto, della prima serie B (quella dell'illecito sportivo).
Subito impose la sua classe e, anche grazie alle sue parate il Milan vinse il campionato di Serie B e ritornò subito nella massima serie.
In totale collezionò 112 presenze con la maglia rossonera prima di passare, nell'ottobre del  1984, all'Atalanta.
La vita al Milan non fu affatto facile nell'ultima stagione, dovendo dividere la maglia da titolare con Giulio Nuciari, il quale a parere mio, non aveva il talento naturale di Piotti.
Con gli orobici Piotti giocherà 120 parite sino alla stagione 1989-1990 causando di sicuro più di un pentimento nei dirigenti milanisti che lo cedettero troppo frettolosamente.
Tutto quanto di buono aveva fatto veder tra i pali rossoneri venne confermato nelle stagioni vissute a Bergamo: grazie anche alle sue strepitose parate gli orobici raggiunsero un traguardo storico. Infatti nella stagione 1987/1988 pur militando in serie B l'Atalanta raggiunse la semifinale di coppa dell Coppe dove venne sconfitta dai belgi del Malines del talentuoso portiere Michel Preud'homme.
Tuttora l'impresa di quell'Atalanta, di mister Mondonico e Ottorino Piotti, è rimasta ineguagliata. Nessuna formazione partecipante a campionati cadetti ha mai raggiunto un simile traguardo nelle competizioni europee.
La carriera di Ottorino Piotti finisce nella stagione 1990-1991 allorchè il nostro in forza al Genoa colleziona le sue ultime 3  presenze in massima serie.
Nel cuore dei tifosi milanisti resterà il ricordo di un portiere coi fiocchi che, purtroppo per lui, arrivò in una momento particolarmente difficile dal punto di vista della storia societaria.





Jean-Marie Pfaff vs Diego Armando Maradona



Città del Messico  25/06/1986 Belgio ed Argentina si affrontano nella prima semifinale di Mexico 1986.
Il Belgio, arrivato a sorpresa tra le quattro migliori formazioni del mondo, può contare sul suo formidabile portiere, Jean-Marie Pfaff, le cui straordinarie parate hanno permesso ai Diavoli Rossi di arrivare così avanti nella manifestazione.
Le straordinarie parate contro la Russia ed il rigore parato allo spagnolo Eloy l'hanno ormai consacrato Eroe Nazionale in Belgio.
Dall'altra parte il talento illuminato di Diego Armando Maradona.
Nel mondiale spagnolo del 1982 il portiere belga una sera scappò via dal ritiro della sua squadra proprio per andare ad incontrare di persona un giovanissimo Maradona in quel del ritiro argentino.
La stima tra i due giocatori è cresciuta negli anni e, in quel fatidico giorno del giugno 1986, il destino ha fissato per loro un appuntamento di quelli che restano per sempre nella memoria.
Uno contro l'altro in un duello che non prevede parità.
Sarà proprio il talento unico e irraggiungibile di Maradona a castigare per ben 2 volte il portierone belga di giallo vestito.
Il Belgio si deve rassegnare al talento di Diego ma, negli annali del calcio belga, resterà per sempre il ricordo di quella mitica semifinale.
La sfida, trasmessa in diretta nel cuore della notte italiana, mi tenne incollato alla tv fino alle 2 del mattino ...
Inutile raccontare che tifavo per il Belgio e che se il dio del calcio fosse stato un po' più romantico avrebbe aiutato i diavoletti rossi ...  ma vai poi a spiegarlo agli argentini...






La Magica notte di Ducadam


 
 
 
 
La notte del 7 maggio 1986, notte della finale di Coppa dei Campioni tra la Steaua di Bucarest e il Barcellona, fu nominata da tutti gli addetti ai lavori, da tutti i giornali, come: “LA MAGICA NOTTE DI DUCADAM”.
Come sempre, nell’immediata vigilia di ogni finale, avevo passato la mezz’ora prima di cena giocando un po’ a basket dietro casa.
Come sempre, prima di ogni finale, mi ero preparato il minimo necessario in sala davanti alla TV.
Lo spettacolo… esauriti i rituali dell’epoca… poteva avere inizio.
La partita, dal risultato scontato se si fosse giocato in Islanda, aveva il risultato scritto sulla pietra, dato che si giocava a Siviglia, in piena roccaforte spagnola. In realtà così non fu e al termine di cento venti minuti anche abbastanza noiosi la coppa sarebbe stata assegnata ai calci di rigore. Da una parte l’esperienza spagnola, di squadra abituata a vincere le partite sul filo di lama, dall’altra l’assoluta novità di una squadra dell’Est, giunta fino a questo punto. A leggere l’elenco dei rigoristi non ci sarebbe stata ancora partita. Così non fu. La differenza la fece un perfetto sconosciuto: il portiere rumeno Helmut Ducadam. Parò quattro rigori e consegnò alla Steaua di Bucarest, e all’Est europeo tutto, la prima Coppa Campioni della loro storia. I tifosi del Barcellona se lo sogneranno ancora di notte, tanto la sua impresa ebbe del miracoloso.
Così come comparve dal nulla, il portiere rumeno scomparve nel nulla.
Da pochi giorni dopo la finale in poi nessuno seppe più nulla di lui. Circolarono allora due versioni di quanto gli fosse potuto accadere. La più inverosimile vuole che alle richieste del Premio per la vittoria  il presidente rumeno Ciausescu gli fece spezzare entrambe le mani dai suoi scagnozzi. La più verosimile (finché cadde il regime totalitario di Ciausescu) dice che il portiere fosse stato colpito da una forma di trombosi che lo costrinse all’abbandono dell’attività. A dire il vero qualche giornalista europeo, sceso da un aereo a Bucarest per sapere la verità, fu rimesso immediatamente sul velivolo che l’aveva portato e rispedito a casa da uomini del regime.
Cosicché ancora oggi, che pure il regime non c’è più, qualcuno si chiede che fine abbia fatto Helmut Ducadam. 
Personalmente l’ho inserito in queste memorie di calcio quale simbolo di giocatore colpito da una forma di ingiustizia che ha poco a che vedere con lo sport.
 
 

sabato 28 luglio 2012

Le spericolate uscite di Harald "Toni" Schumacher


Tra i più grandi interpreti del ruolo di portiere negli anni ottanta c’è sicuramente il tedesco Harald Anton Schumacher detto "Toni".
Portiere del Colonia per qualcosa come quindici anni (dal 1972 al 1987) Schumacher è nella memoria di ogni tifoso italiano per il solo fatto di essere stato il portiere della nazionale tedesca nella finale del Campionato  Mondiale del 1982 vinta dall’Italia in quel di Madrid.
Quattro anni prima, nel 1980, in quel di Roma Harald Schumacher si laureò campione europeo con la sua Germania che sconfisse in finale il Belgio del mio Jean-Marie Pfaff.
Portiere affidabile e degno erede del sempiterno Sepp Maier (considerato il più grande portiere tedesco di tutti i tempi)  Harald Toni Schumacher è stato protagonista di vent’anni di calcio ad altissimi livelli.
Detto della finale dell’Europeo 1980 vinta sul Belgio il nostro Toni arrivò in finale anche ai mondiali del 1982 e in quelli messicani del 1986 perdendo in entrambe le occasioni.
Nel 1982, già detto della sconfitta tedesca a vantaggio dell’Italia, resterà nella memoria di molti l’uscita scomposta e al limite del regolamento con la quale Schumacher mandò all’ospedale in coma  il francese  Battiston. Un brutto episodio che ne offuscò in parte l’immagine sportiva.
Quando nel 1986 Francia e Germania si ritrovarono nuovamente in semifinale una stretta di mano tra i due mise fine ad anni di discussioni.
La vicenda che mi lega in modo particolare ad Harald Toni Schumacher è datata 1989.
In quell’anno frequentavo la quarta superiore lì al temibile (allora) Istituto Tecnico Jean  Monnet di Mariano Comense.
La professoressa di italiano, signora Terraneo, ci diede come compito quello di portare con noi in classe un articolo di giornale con allegato un nostro testo scritto a commento dell’articolo.
Io in quell’occasione, ringraziando il Guerin Sportivo, portai un articolo che parlava di come il portiere della nazionale tedesca Harald  “Toni” Schumacher fosse stato giubilato dalla sua nazionale e dal suo club (il Colonia) per aver scritto nella sua biografia intitolata “Anpfiff” (in tedesco – Fischio d’inizio) di come  le squadre di calcio professionistiche della Germania ricorressero in maniera ricorrente e massiccia all’uso del doping.
Se pensate che eravamo nel 1989 vi renderete conto che, al tempo, esternazioni di questo tipo non erano proprio all’ordine del giorno.
L’articolo intitolato “TONI E FULMINI” aveva una foto a corredo che vedeva il nostro Schumacher seduto solitario in una panchina a bordo campo, quasi a sottolineare il fatto che, accusando il sistema, fosse rimasto solo.
A scuola ricordo che la professoressa restò estremamente sorpresa dal tema proposto
Personalmente fu una bella soddisfazione …  portare  un pò del  “mio mondo” anche a scuola … 
Narra la storia che dopo due stagioni in castigo in quel dello Schalke 04  Toni Schumacher emigrò esiliato in Turchia dove vinse ancora con il Fenerbace salvo rientrare alla grande nella sua Germania (che nel frattempo aveva digerito anche il doping) prima difendendo i pali del Bayern Monaco per poi  chiudere la carriera nel Borussia Dortmund.
Resterà nei miei ricordi calcistici anche Toni che, con le sue uscite spericolate, non aveva mai paura di niente e di nessuno ed incarnava il senso compiuto di “torhuter”.

 Germania  1980




La parata più spettacolare di tutti i tempi

Chi c'era a Wembley la sera del 6 settembre 1995 io lo invidio a morte. Avrei voluto esserci anch'io;  avrei perlomeno voluto vedere in Tv quella partita. Invece non la vidi... ma sulla Gazzetta del giorno dopo mi lessi la cronaca di quello che avvenne. Sono passati molti anni, e solo dopo alcuni mesi da quella sera riuscii a vedere le immagini e trovare le foto di quella che fu definita la parata più incredibile nella storia del calcio.
Un amante di portieri come me che ha sempre raccolto dati, foto, articoli su tutti i portieri, di tutto il mondo, mai avrebbe pensato di vedere quelle che combinò quella notte il portiere colombiano Rene Higuita detto "El Loco". E poi, come avete potuto leggere, ho sempre amato altri tipi di portiere... i sudamricani, per quanto pittoreschi e unici (tra gli altri il mitico Hugo Gatti portiere del Boca Juniors anni ottanta)  non mi hanno mai convinto fino in fondo... e poi ero sempre stato con chi sosteneva che la parata migliore fosse stata quella del portiere inglese Gordon Banks su un colpo di testa del mitico Pelè ai mondiali del 1970... un autentico miracolo...
La partita, un’amichevole tra Inghilterra e Colombia, non aveva in sè alcun interesse particolare. Senonchè ad un certo punto avvenne l'incredibile. L'inviato della Gazzetta, il giorno dopo, scrisse che chi c'era quella sera quello che vide lo avrebbe raccontato ai propri figli, e probabilmente, quelli ai loro figli ancora. Non esagero, quando lo lessi io stentavo a crederci, dovetti aspettare qualche mese buono per rivedere quella sequenza.
La tv a pagamento inglese che aveva l'esclusiva per quella partita, non volle cedere i diritti se non dietro buon compenso... di quella partita che fu tra l'altro brutta e terminò con un classico 0-0 e che quindi non avrebbe trovato spazio nella memoria collettiva degli appassionati calciofili rimase impressa quella spettacolare parata.
A fine partita lo stesso Higuita denominò la sua parata "El scorpion"... lo scorpione... era la parata dello scorpione... ora tento di descriverla... ma credetemi, è difficile persino immaginarla...  un po' come quelle parate di quei cartoni animati giapponesi, dove il portiere salta sopra la traversa e con improbabili acrobazie ferma qualsiasi tiro gli avversari scaglino verso la propria porta.
El LOCO compì il miracolo così. Da un cross sulla fascia un giocatore inglese staccò di testa nel centro dell'area colombiana, ed indirizzo la palla forte, ma centrale verso la porta di Higuita... il portiere anzichè bloccare quella palla con le mani fece una capriola e portando tutto il busto in avanti staccò da terra e, portando le gambe in aria, con la pianta dei piedi deviò la palla... fu un movimento velocissimo, e le sue gambe ed i piedi scattarono proprio come scatta la coda dello scorpione...
Sempre l'inviato della Gazzetta informava che tutto lo stadio dapprima ammutolì, poi, ancora increduli, tutti i tifosi si alzarono in piedi per tributare una standing-ovation al mitico "LOCO"...
La parata de "EL ESCORPION" rimarrà credo la parata più incredibile che io abbia mai visto in vita mia.
http://www.youtube.com/watch?v=gA01iU2VR0A&noredirect=1

venerdì 27 luglio 2012

Un uomo chiamato Garrincha



Manuel Francisco dos Santos detto Manè è stato un grande uomo. Prima di essere un grande calciatore Manè fu un grande uomo.
Se il calcio non vi piace e non vi interessa non saltate oltre... perchè quella di Manè non è una storia di calcio... o, perlomeno, non solo di calcio e comunque molto più di una storia di calcio. Perché Manè è stato più che un semplice uomo di calcio. Per qualcuno in Brasile è stato e sempre sarà il calcio.
"Obrigado Garrincha por voce ter vivido" ovvero "Grazie Garrincha per essere vissuto"  così  scrisse una mano ignota su un muro di Rio de Janeiro.
Per i brasiliani era semplicemente "L'allegria del popolo".  Superato per fama dalla stella di Pelè Garrincha resterà per sempre nella memoria dei brasiliani l'ala più forte che abbia mai vestito la casacca verdeoro della "selecao".
Manè fu soprannominato Garrincha da uno dei suoi molti fratelli. Garrincha è il nomignolo con cui  i brasiliani indicano un piccolo volatile, ed al piccolo Manè questi uccelli piacevano tantissimo... e tanto li amava da stare per ore e ore ad osservarli nella foresta di Pau Grande piccolo paesino  o se preferite piccola favelas dove nacque il 23/10/1933.
Se mai vi dovesse capitare di andare in Brasile fatemi un favore... fate quello che farei io... cercare una persona di almeno 50 anni ed avvicinandolo sussurrargli semplicemente quel soprannome "Garrincha"... probabilmente al vostro interlocutore chiunque esse sia... si illumineranno gli occhi... perché  l"allegria del popolo" in Brasile fu amato quanto e forse più di Pelè... entrando a far parte dell'anima stessa di quei brasiliani che  furono così fortunati da poterlo vedere in azione di persona.
Il piccolo Manè soffrì da piccolo di una forma di poliomelite che non gli impedì comunque di arrivare al grande calcio lasciandogli in eredità una gamba leggermente più piccola dell'altra. E proprio questa lieve malformazione fu, secondo la leggenda, la fortuna di Garrincha. Infatti Manè è passato alla storia per la sua "finta" a cui abboccavano tutti i difensori, a qualsiasi latitudine del globo fosse eseguita, tanto che in Brasile alla sua morte qualcuno scrisse che ora avrebbe fatto impazzire anche gli angeli del paradiso scappandose via col suo pallone incollato a piedi. In quasi tutti i libri di calcio che ho potuto consultare la sua scheda si chiude con: "Leggendaria la sua finta di corpo" e simili.
Nils Liedholm, capitano della Svezia che fu sconfitta in finale dal Brasile nel campionato del mondo 1958, raccontò “(…) Prima della gara sapevamo benissimo quanto forti erano i nostri avversari. Li avevamo osservati di persona. Così sapevamo del giovane Pelè di Vava di Nilton Santos e di Garrincha… ma ecco, proprio lui fu la chiave di quella partita. Il nostro difensore studiò Garrincha a fondo, e credette di aver capito tutto… “Quello prima finge di andersene via a sinistra e poi scatta veloce a destra… ha fatto sempre così… sa solo fare così. Finora gli è andata bene… ma ora… non ci fregherà”… evidentemente la teoria era giusta… peccato che se andate a rivedere ora le immagini di quel primo tempo di Svezia – Brasile vedrete il nostro difensore superato ogni volta da Garrincha… fu una cosa incredibile. Semplicemente incredibile. Il nostro difensore rimaneva sempre sul posto mentre l’ala destra brasiliana prendeva il volo su quella fascia neanche avesse le ali.”
In effetti ho potuto visionare diversi filmati e diverse azioni del grande Manè e me ne sono talmente innamorato da essere ora qui a raccontare a tutti voi di questo uomo a cui forse la fortuna ad un certo punto decise di voltare le spalle.
Le cifre della sua vita da calciatore professionistico nella nazionale brasiliana parlano da sole:  50 presenze e 13 gol. 3 i mondiali disputati rispettivamente nel 1958 1962 e 1966; di questi due nel 1958 in svezia e nel 1962 in Cile lo videro ritornare vincitore in Brasile con la mitica coppa Rimet. Nel 1958 fu designato l'ala destra titolare della all-star di quell'edizione del campionato del mondo. Ma ancora meglio fece nel 1962 quando chiuse il mondiale da capocannoniere con 4 centri e l'ennesima gratificazione di miglior ala del mondiale. Nel 1962 in considerazione dell'infortunio che bloccò il grande Pelè dopo una sola gara il vero eroe nazionale fu proprio lui... il grande Manè.
In Brasile di padre in figlio si tramanda "l'aneddoto assoluto" sulla grandezza dell'uomo prima ancora che del calciatore... premetto solo che Manè fu sempre un uomo umile, semplice... e forse anche troppo buono... alcune biografie ne parlano in altri termini... per me, che posso dire ora di conoscerlo un po' meglio... rimane solo "uomo buono"... cresciuto nella foresta e che con la foresta viveva e dove sarebbe stato sepolto alla sua morte.
Ora l'aneddoto tratto dal libro di Darwin Pastorin "Ode Per Manè": di ritorno dalla grande vittoria del campionato del mondo in Svezia i campioni vengono accolti come autentici eroi dal Governatore dello stato di Rio. Lo stesso governatore al termine di un classico "discorso" comunica ai campioni del mondo che ha deciso di fare a tutti un regalo:

"... a voi che così fulgido onore avete portato al Brasile, io, ho deciso di regalare a ognuno (pausa ad effetto)... una villa a Copacabana!! ...Siete Contenti??"
Tutti ridono felici... chiaro... come potrebbe essere altrimenti.
Solo Garrincha non sorride... anzi proprio non ride... anzi pare quasi corrucciato.
Tutti lo notano... e subito scende uno strano imbarazzo...
I compagni lo guardano... il governatore lo guarda...
"Qualcosa non va Garrincha???" chiede allora il governatore.
Zagallo nel frattempo segue svogliato il volo di una mosca che rompe il silenzio imbarazzante.
Garrincha scuote il capo.
Nel frattempo, il governatore, che è uomo navigato, fra sé pensa: "chissà cosa vorrà ora questo qui". E subito  riprende: "... se la villa non ti piace... Puoi chiedere altro... Su... coraggio"
"Dice veramente signor Governatore??" chiede allora Manè
"Certo"
Imbarazzo
Zagallo  nel frattempo potrebbe raccontare la vita della mosca.
"Come regalo vorrei..." inizia Manè "vorrei ... la vede quella gabbia signor Governatore??"
Tutte le teste si girano contemporaneamente ad osservare il punto indicato da Manè.
Lì un piccolo passero tutto colorato svolazza dentro una gabbia.
"Signor Governatore, io non voglio la villa. Come premio per la Coppa del Mondo le chiedo solo di liberare quel passero. Lo lasci volare nell'immensità del cielo. Libero nel cielo… finalmente libero."

Qualcuno tra voi potrà anche non credere che al mondo una persona abbia avuto il coraggio di tale gesto... sarebbe più facile pensare a questa come ad una leggenda... ma non è così. Questo è solo un aneddotto piccolo piccolo nella storia di questo grande personaggio... Anch'io quando lo lessi la prima volta stentai a credere che potesse essere vero. Era vero. E' vero. Com'è vero che Manuel dos Santos Garrincha morì una mattina, il 20 gennaio 1983 solo e abbandonato dal mondo del calcio in una camera  dell'ospedale di Rio de Janeiro. La fama, la gloria, le donne, il successo, i soldi ...tutti e tutto  passarono sopra di lui... ma al contrario di molti altri (tra cui per esempio il grande Pelè)  non lo cambiarono mai... rimase sempre un piccolo uomo che amava tornare nella sua foresta ad osservare il fiume e gli uccelli volare liberi al tramonto.
Il ricordo più bello ed appassionato del grande Manè lo potete trovare, se volete, in uno stupendo libro che rende giustizia alla sua persona, libro scritto da un giornalista italiano Darwin Pastorin (direttore di Stream TV) non a caso nato e cresciuto in Brasile proprio nel pieno della Garrinchamania. Il libro si intitola "Ode per Manè - quando Garrincha parlava ai passeri" (edizioni Limina) la cui copertina vedete riportata sopra.

In quarta di copertina c'è la massima dell'autore a cui mi associo dopo 30 giorni passati a studiare libri consultare siti internet e vedere videocassette per capire chi fosse… Manè, l’uomo chiamato Garrincha.

"Resta la memoria  dei sogni che abbiamo sognato, che hanno cullato i nostri giochi di bambini. Con tenerezza, riprendo me stesso fanciullo per mano, un ragazzino che, su quei prati  che erano ancora prati, urlava ai suoi amici: "io sono Garrincha", e con il numero sette che mia madre mi aveva cucito sulla maglietta inseguivo un pallone e la vita."

mercoledì 25 luglio 2012

De Grootste Belg - Jean-Marie Pfaff





Tratto da IL TONNUTO  n.  112 - dicembre 2010


Ognuno ha, nel proprio percorso di crescita, il proprio eroe. Che sia d’infanzia o d’adolescenza, il nostro eroe attraversa con noi il passaggio del tempo fino all’età adulta (che non è più età da “eroi”). Nonostante lo scorrere inesorabile del tempo il fascino, intatto, di quelle figure che ci avevano ispirato in gioventù resta con noi per sempre.
Di tutti gli eroi del calcio (che fu …) ho sempre ammirato per affinità di ruolo tutti i portieri del mondo. Così nel lontano 1982 ammiravo sempre di più il nostro buon Dino Zoff campione del mondo. Ma non passò inosservato un ricciolone che difendeva la porta del Belgio e che, nella partita inaugurale della rassegna iridata era stato in grado di fermare quasi da solo la grande Argentina di Diego Armando Maradona. Quel ricciolone aveva un nome per me familiare. Pfaff. Come la macchina da cucire che mio padre, come ogni buon tappezziere, aveva in bottega. Che bel nome Pfaff, se ci pensate …
Nel torneo 1982 solo un brutto infortunio lo portò lontano dalla porta della nazionale belga che, perso il suo condottiero, venne eliminata al secondo turno.
Con il tempo e un campionato europeo (1984) in mezzo continuai a seguire la parabola di questo personaggio. Dal campionatobelga dove era diventato eroe nazionale difendendo la porta del Beveren il nostro Jean- Marie si trasferì al prestigioso e titolato club tedesco del Bayern Monaco. Lì la sua carriera decollò definitivamente.
Di carattere istrionico, al limite del clownesco (le affinità con il circo del ns. Zio Fiesta sono nel DNA belga) sempre decisivo in campo quanto simpatico fuori Jean-Marie entrò nel cuore dei tifosi tedeschi e diventò perno centrale della nazionale dei Rode Duivels (i Diavoli Rossi come chiamano in patria i nazionali del Belgio).
Con il mondiale messicano del 1986 la carriera di Jean-Marie Pfaff giunge al suo massimo splendore. Con le sue parate strepitose (e un rigore parato nei quarti alla Spagna) porta il Belgio ad un quarto posto storico nella massima rassegna iridata.
Solo il grande Diego Armando Maradona riuscì a piegare i diavoli rossi in una semifinale al termine della quale il portiere del Belgio scambia la sua maglia proprio con quella del grande Pibe de Oro.
Ho vividi i ricordi di quelle nottate passate a tifare e seguire il cammino del Belgio in quel mondiale. Le partite si disputavano alle ore 20 e alle ore 24 italiane.
Da quindicenne seguivo ogni giorno i commenti dei giornali e, con l’Italia prematuramente eliminata dalla Francia di Platini, tutto il mio interessi si concentrava sul portiere belga. Ogni sua intervista era uno spasso. Una volta dichiarò che avrebbe appeso Enzino Scifo (gli amici interisti lo ricorderanno …) al primo albero che trovava fuori dal campo di allenamento perche il giovanotto aveva dichiarato qualcosa che a Jean-Marie non era piaciuto. Un’altra volta raccontò di aver ipnotizzato il calciatore spagnolo a cui parò il rigore decisivo nei quarti di finale. Al termine del mondiale di Mexico 1986 il portiere belga venne insignito del titolo di miglior portiere del torneo, mentre una giuria di signore e signorine messicane si erano innamorate talmente tanto dei suoi riccioloni tanto da nominarlo miglior “guapo” del mondiale. Insomma, a conti fatti, un personaggio unico.
Oggi, tanti anni dopo, il nostro Jean-Marie Pfaff è più popolare che mai in Belgio. Con addirittura una serie televisiva dedicataalla sua numerosissima famiglia (le tre figlie che ha avuto dalla moglie Carmen gli hanno “regalato” una moltitudine di nipotini) una Parigi-Dakar e uno spaventoso incidente motociclistico lungo il lago di Garda (le sue figlie hanno studiato a Verona per qualche tempo nella loro infanzia) alle spalle e un sito internet unico dove il nostro continua nelle sue molteplici attività tra gare di beneficenza, produzione di vini, manager di una propria squadra ciclistica e mille altre cose.
Spesso mi ricapita di riportare alla mente quelle nottate di Mexico 1986 e sempre rivedo nei miei ricordi il sole a picco su quei campi verdissimi, il cielo azzurrissimo … e le maglie gialle o blu indossate dal mio eroe di giovanili passioni svolazzare a destra e a manca a fermare palloni … nella partita che non finirà mai … quella dei ricordi.

Ricordando ... Sandro Ciotti






Tratto da IL TONNUTO -  33/34 -  agosto 2003


Questo mese di luglio s'è portato via anche il nostro Sandro Ciotti.  Rincorrono dietro la memoria di ragazzetto le sue mitiche radiocronache in quell'autentica epopea che era, ed ancor oggi è TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO.
L'inconfondibile, inimitabile voce roca di Ciotti mi ha accompagnato con le sue radiocronache per tutti questi 25 anni di calcio "consapevole".
Dai tempi lontani, quando tutte le partite si giocavano la domenica pomeriggio, a pochi mesi fa, quando ancora Sandro Ciotti interveniva nella seconda parte di Domenica Sport per il suo commento tecnico.
In un cd con le radiocronache degli anni d'oro del mio Milan, quello di Franz Baresi, Sacchi, Van Basten, Gullit ecc. riecheggia la voce di Ciotti, e del suo inconfondibile stile... e quel rimpallare di interventi... "Scusate... è il Meazza che interviene per comunicarvi il vantaggio del Milan... "  ... e tutti quei passaggi di linea "Qui Ameri,  a  te Sandro Ciotti"... o viceversa.
La domenica era, è un rito: la radio in pugno, in tasca, sottobraccio... sempre con le cronache di tutto il calcio.
Con i soci, ai tempi belli della compagnia si stava, quando il C.G. CABIATE giocava in casa, ad ascoltare TUTTO IL CALCIO sulla montagnetta dell'Oratorio, potevamo così spiare "a gratis" anche la formazione del nostro paese impegnata nella solita battaglia domenicale. Ora, dopo che la montagnetta ci è stata portata via, con i nostri ricordi di bambini insieme, anche la voce del grande Ciotti si è spenta. Per sempre.
Passaggio inevitabile del tempo. Addio caro Sandro. Ti risentirò di là???
"Grazie Ameri... dallo stadio Meazza in San Siro vi parla il vostro Sandro Ciotti, ancora i protagonisti non sono in campo. Ne approfitto per comunicarvi quindi che la condizione del terreno di gioco è ottima e (...)"
 

domenica 22 luglio 2012

Quando Fabrizio Casazza giocò a Cabiate



Ho conosciuto Fabrizio Casazza uno dei primi giorni di settembre del 1985. Casazza era il portiere della squadra primavera della Sampdoria.
In quei giorni, a Cabiate, come ogni inizio di settembre, si stava disputando il "Torneo Nicola"di calcio giovanile.
A questo torneo  molto rinomato partecipavano tutte squadre blasonate. Milan, Juventus, Inter e moltre altre ancora. Grazie a esso noi cabiatesi abbiamo potuto vedere in anteprima calciatori che si sarebbero poi costruiti carriere eccezionali. Io mi ricordo di Galderisi che giocava nella Juventus e che arrivò persino a vestire la maglia della nazionale azzurra ai mondiali di Messico 1986... ma furono tanti i campioncini che calcarono questo campo sportivo che mi sta di fronte e che poi avrebbero sfondato anche nel campionato di serie A.
Fabrizio Casazza è uno di questi.
In quegli anni io e il mio amico Bucci eravamo assidui frequentatori del Bar della Cooperativa, eravamo spesso incollati ai videogiochi, ed in uno di questi lunghi pomeriggi incontrammo i giovani della squadra sampdoriana che erano lì a mangiare al ristorante situato dietro i locali del bar.
Facemmo così la conoscenza di qualche giocatore della squadra blucerchiata.
Oltre a Fabrizio, che , da portiere, fra i portieri, attirò subito la nostra attenzione, conoscemmo un centroavanti, tale Zian che avrebbe poi giocato tra le altre squadre anche a Monza.
Fabrizio Casazza ci apparve subito un tipo simpatico; si era fermato a parlare, tranquillamente seduto dentro il bar, con  noi che gli facevamo un mucchio di domande sulla sua vita di giovane calciatore.
Classe 1970: era quasi come parlare con un nostro amico di sempre. E così è stato per almeno cinque o sei giorni.
Arrivò poi il giorno della finale 1/2° posto. La Sampdoria era giunta fin lì ed io e il mio amico Bucci in quel torneo avevamo avuto occhi solo per il nostro amico Casazza.
Quel giorno della finale di consolazione il nostro amico parò un rigore e fece vincere la sua squadra.
Noi entrammo in campo dal retro giusto in tempo per essere lì con lui nel momento in cui gli venne consegnata la coppa di miglior portiere del torneo.
Ricordo bene che lo abbracciammo e lui, felicissimo per il riconoscimento ottenuto, abbracciò noi. Fu un momento di gioia collettiva. Lui era felice per se stesso, noi per lui.
Fabrizio Casazza è diventato un grande portiere. Questa la sua schedina personale così come da ANNUARIO DEL CALCIO MONDIALE.
FABRIZIO CASAZZA Genova 16/09/1970- stagione 87/88 Sampdoria/serie A/presenze 0. stagione 88/89 Biellese/Interregionale/presenze 1. stagione 89/90 Sampdoria/serie A/presenze 0. stagione 90/91 Fidelis Andria/serie C1/presenze 1. stagione 91/92 Pro Sesto/serie C1/ presenze 13. stagione 92/93 Pro Sesto/serie C1/presenze 31. stagione 93/94 Pro Sesto /serie C1/ presenze 29. stagione 94/95 Verona/serie B/ presenze 14. stagione 95/96 Verona/serie B/presenze 33. stagione 96/97 Torino/serie B/presenze 36. stagione 97/98 Torino/serieB/presenze 7. stagione 98/99 Torino /serie B/presenze 7. stagione 99/00 Venezia/serie A/ presenze 14. stagione 00/01 Sampdoria/serie B/ presenze 0. stagione 01/02 Sampdoria/serie B/presenze 5. stagione 02/03 Sampdoria/serie B/
Direi un curriculum di tutto rispetto.
L'altra sera su una Tv privata stavano trasmettendo la sintesi di un amichevole estiva fra l'Inter e la Sampdoria. Ho acceso tardi, ed ho così potuto vedere l'epilogo della sfida. Ai calci di rigore. In porta per la Doria c'era l'amico Casazza... parte il rigorista dell'Inter (Cordoba) e tra me e me mi dico... cazzo vuoi vedere che Fabrizio glielo para?!... e così è... Casazza para, la Doria vince la partita e con essa il trofeo che lui, in quanto capitano, alza al cielo di un inizio di agosto dell'anno 2002...
Di sicuro lui non saprà più neanche che io e il Bucci esistiamo al mondo... ma per noi credo valga il ricordo di quell'abbraccio qui sul campo di Cabiate... e poi un piccolo ricordo di Cabiate gli è rimasto con  quel trofeo di miglior portiere che vinse e che, credo, sarà a far bella mostra di sè nella bacheca personale che ogni calciatore ha nella sua casa...
Fabrizio è stato per noi un esempio di come si può arrivare ovunque nella vita, sapendo utilizzare il talento che il Barba (Dio) (come ama dire Maradona) ci ha donato... è stato amico per cinque giorni ed è tuttora il nostro orgoglio di tifosi di tutti i portieri ... di tutto il mondo... forza CASAZZA!!!!!


Testo scritto nel settembre 2002



Aggiornamento 2012

Casazza ha poi militato nella Lazio  (stagioni 2003-2005 - presenze 3), nel Pavia  (stagioni 2005 -2006 - presenze 50), nell'Udinese (stagione 2007 - presenze 1), nella Caravaggese (stagioni 2007 -2008 -presenze 14) per chiudere poi la carriera da giocatore nel Virtus Entella con la stagione 2011.

sabato 21 luglio 2012

Valerio Bacigalupo, leggenda del Grande Torino

Vi vorrei raccontare un aneddoto che riguarda uno dei più grandi portieri di tutti i tempi.
Storie, come direbbe Gianni Minà,  di mitici eroi di altri tempi… l’epoca del calcio dei “pionieri”… di quando il pallone era veramente di solo cuoio e non c’erano parastinchi e i portieri paravano a mani nude… altri tempi. Vecchie storie.
Questo portiere almeno ragazzi di fede GRANATA dovrebbero ben conoscerlo (per sentito nominare, s’intende).
Il suo nome è VALERIO BACIGALUPO. Valerio  era il leggendario portiere del GRANDE TORINO, squadra che quasi tutti i più rinomati critici calcistici ritengono la squadra italiana più forte di tutti i tempi.
Valerio morì come tutti i suoi compagni il 4 maggio 1949 nel tragico incidente aereo di Superga. BACIGALUPO fu per 5 volte portiere azzurro, e, appena venticinquenne, il futuro azzurro sarebbe stato tutto e solo suo almeno per altri 10 anni. Valerio era fidanzato e di lì a breve si sarebbe sposato.
BACIGALUPO era un portiere audace e valoroso ma era anche un grande uomo…come scrive Michele Serra in un articolo "Diciotto buste rosse": "... (Valerio) Stava mettendo da parte il denaro per sposarsi e aveva spedito a Torino per ferrovia affidandola ad un amico una grossa bottiglia di profumo che aveva ricevuto in regalo a Lisbona. Il pacco è arrivato alla fidanzata di Bacigalupo quando lui era già morto, vi era scritta di sua mano a penna una sola parola che era una dichiarazione d'amore e al tempo stesso una firma: "Baci".
Storie vere, di uomini veri. Di altri tempi.





La mia vita ... come una partita di calcio

Ho vissuto di calcio. Vivo di calcio. Vivrò di calcio
Una delle cose che a pensarci mi fa incazzare di più è il fatto che domani, quando non ci sarò più, una palla qualsiasi, in un campo qualsiasi, continuerà a rotolare. Un portiere verrà inquadrato e leggerete la marca dei suoi guanti… reusch, uhlsport, puma… Ogni sua parata sarà salutata da un boato dei tifosi e ogni suo gesto, dal semplice rinvio al rimprovero al compagno di squadra mal piazzato in barriera, saranno per qualcun altro.
Tutto questo mi mancherà. E non lo posso sopportare.
Le mie  memorie di calcio non vogliono essere, e non saranno, il pretesto per farvi una lezione di calcio. Le memorie di calcio sono il punto di partenza per farvi partecipi di ben 35 anni di ricordi, di amici, di partire, di amori… punto di partenza per un’esistenza, punto di arrivo di una vita.
Questo "blog" (costituito per lo più da documenti scritti in epoche diverse)  vuole essere il modo più semplice per ricordare, tramite fatti o atti, tanti amici di oggi e di ieri.
Qualcuno tra voi la storia che segue la saprà a memoria. Qualcuno la leggerà per la prima volta. A tutti quanti ne garantisco l’assoluta autenticità.
Ho conosciuto mia moglie giocando una partita di calcetto all’oratorio. Era una sfida come tante nelle domeniche pomeriggio passate ad incrociare palle, tiri, parate  e sentimenti.
Con molta modestia devo rammentarvi che all’epoca (parlo del 1992) ero nel pieno splendore della mia “carriera oratoriana” di gare giocate in quella specie di gabbia che era la pista di pattinaggio.
Erano tempi di sfide mitiche che vi racconterò più dettagliatamente in seguito.
 Quella domenica del primo maggio 1992 si presentò una sfida interessante… stimolante; una mista maschi/femmine.
Ricordo, ora come allora, che ad un certo punto di quella sfida la palla finì sui piedi di una ragazzina minuta e che non conoscevo affatto… non l’avevo mai notata prima… e ricordo ora come allora che mi sentivo le spalle talmente larghe  fra i pali di quelle piccole porte (nonostante non sia mai stato certo un fisico imponente) da non  avvertire alcun senso di pericolo. Il portiere, quando vede il pericolo di un tiro che arriva, si prepara flettendosi quel tanto o poco che gli  basta per scattare come una molla e volare a deviare o comunque bloccare il tiro avversario.  Ecco, la mia supponenza in quel momento non mi avvertì affatto del pericolo. O, meglio, quando vidi che la ragazzina di fronte a me stava per calciare non feci neanche in tempo a prepararmi. Un missile sparato di punta (poco bello stilisticamente, ma indubbiamente efficace) si infilò alle mie spalle lasciandomi sbiancato in volto. Affronto!! Ira!! Rabbia!! Vergogna!! Il ricordo degli amici che ancora oggi rivangano il famoso goal di Elisabetta sono ancora qui. Così conobbi mia moglie… e poi volete che uno non possa dedicare una vita intera, ed anche un libro a questo sport???!!
Un grande scrittore, Albert Camus, anche lui portiere per vocazione, amava dire che  nel calcio c’è quasi tutta la morale umana. E’ vero.
Lo spirito che  incarna il portiere che vede l’avversario farglisi incontro, palla al piede, è lo spirito stesso con cui poi avrei affrontato tanti anni della mia vita… Prendi il tempo che vuoi per valutare quanto e quale è il pericolo o l’ostacolo che hai di fronte  e poi parti, sapendo che non puoi, non devi sbagliare, escigli addosso, buttati, tuffati, ma  blocca quella palla, quel pericolo  ad ogni costo, ad ogni modo.
Questo è stato il mio motto degli anni passati, lo è del presente e lo sarà per il futuro. Non sempre riesco a pararle… ogni tante le cose della vita mi beffano e vanno in goal… ma nel calcio, come nella vita, dopo un tempo ce n’è subito un altro. Ogni risultato è ribaltabile, così come ogni pronostico.
E poi, non sono più solo. Grazie ad una ragazza e ad un calcio di punta… che non sarà stato stilisticamente perfetto… ma ci ha cambiato la vita.
Per questo soprattutto e per molto altro ancora ho sempre vissuto, vivo e vivrò nutrendomi di calcio.

A Stefano ... amico rossonero

L’amico Stefano è morto una notte di novembre del 1994. Era un tifoso milanista di quelli veri. Era un omone grosso, dalla voce grossa, ma dal fare gentile.  Le passioni per il computer e per il calcio l’avvicinarono a mio fratello e poi a me.
Ogni tanto la sera di ritorno dal lavoro a Milano si fermava qui in bottega da noi. Era il momento di commentare il risultato della domenica precedente del grande Milan di Sacchi. Erano bei tempi. Si vinceva tanto, si vinceva bene. C’erano molte cose su cui discutere, e il tempo in quelle discussioni passava sempre troppo veloce.
Una sera dei primi di maggio del 1990 Stefano arriva in bottega raggiante con una grande notizia. Aveva due biglietti per la finalissima di Coppa Campioni Milan – Benfica che si sarebbe disputata il 23 maggio nel mitico campo verde del Prater di Vienna. Propose a mio fratello di andare insieme a lui a vedere quella partita. Io iniziai a gioire per la grande occasione che capitava a mio fratello, mentre lui era, invece, indeciso sul da farsi.
Cosa gli passasse per la testa non lo capisco ancora adesso. Aveva un’occasione di quelle che nella vita ti capitano al massimo una o due volte  ed era indeciso… pazzia!! Iniziai subito l’opera di convincimento… ci sarei andato io… se solo… boh?!(La scuola, i compitini ecc.ecc. comunque troppo banali come scuse)
Continuai così l’opera di martellamento…  Insomma nel giro di pochi giorni Luca si era convinto. L’avevo convinto.
La notte del 22 maggio 1990 Luca e Stefano partirono. Destinazione Vienna. Destinazione Coppa Campioni. Ero fiero, fierissimo che mio fratello potesse essere lì a gridare al cielo la stessa gioia che gridavamo insieme a casa davanti alla TV, rischiando più di una volta di spaccare tutto quanto ci capitasse a tiro.
La sera del 23 maggio davanti alla TV con Bruno Pizzul che iniziava la sua telecronaca c’era il microfono del mio vecchio mangianastri a riprodurre la telecronaca di quella partita. Non avevamo ancora il videoregistratore. Sarebbe arrivato solo qualche annetto dopo.
Quell’audiocassetta è ancora qui da me… un giorno passate di qui se volete sentire le mie urla che accampagnarono (come la cavalcata delle valchirie) il mitico Frakie Rijkaard in una lunga fuga solitaria sin davanti al portiere portoghese Silvino che non poté far altro che raccogliere la palla da in fondo alla rete.
Eravamo Campioni D’Europa per il secondo anno di fila. Mio fratello c’era. Io col pensiero anche.
Tante di quelle emozioni di quella magica notte le dobbiamo all’amico Stefano.
Uno degli ultimi ricordi che ho di lui è di quando una mattina di inizio agosto del 1994 passò a salutarci con la moglie e i due figli piccoli. Erano in partenza per il mare. La macchina stracarica, ed il ricordo di una bella famiglia felice.
La notte in cui è morto è ricordo di un dolore mai troppo lontano. Ricordo di essermi commosso sin al  pianto quando appresi della sua morte. 
Pochi giorni dopo in una serata come tante altre, i rossoneri erano di nuovo in campo contro l’Ajax di Amsterdam… prima ancora di veder iniziare la partita pensai al fatto che forse da lassù l’amico Stefano la stesse guardando anche lui… di certo avrebbe commentato: “Poco spettacolo… sono passati i bei tempi. Sono finiti i bei tempi.”