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martedì 30 dicembre 2014

"Jašin. Vita di un portiere" un libro italiano dedicato al grande Lev Jascin


"Jašin. Vita di un portiere" è uno splendido libro dedicato al leggendario portiere russo Lev Jascin.
Un libro che definire splendido è poco.
Scritto a quattro mani da Mario Alessandro Curletto e Romano Lupi questo volume è il primo, in Italia, ad essere interamente dedicato al più leggendario dei portieri che la Storia del Calcio abbia mai espresso.
Mario A. Curletto,insegnante di Lingua e Letteratura Russa all'Università di Genova, sin dall'inizio mette in chiaro la traslitterazione del nome russo di Lev che, scritto in maniera corretta è Jašin e si legge Jascin, dato che la lettera š si legge "sc" E già qui si mette in evidenza un dato fonetico di primaria importanza.
Romano Lupi è invece giornalista e pubblicista: insieme a Curletto, già in passato,  si è occupato del calcio della ex Unione Sovietica con la pubblicazione del libro  "Futbolstrojka. Il Calcio Sovietico negli anni della Perestrojka".
I due si dividono la stesura dei vari capitoli di un libro che ha il grande pregio di contestualizzare in maniera chiara, precisa,  molto documentata  e non banale,  la vita vissuta  da Lev Jascin  come uomo prima ancora che come atleta.
Il momento storico in cui Lev Jascin visse è un dato essenziale per partire a tratteggiare il ritratto di un uomo, di un portiere, che si formò alla scuola di quel regime sovietico che ha sempre avuto un "fascino misterioso" date le scarse informazioni di "prima mano" di cui si era in possesso all'epoca dei fatti.
Se si potesse condensare l'essenza di Lev Jascin così come esce da queste pagine in poche parole, beh, quelle giuste sono quelle riportate nella quarta di copertina del libro: "Nonostante giocasse nel ruolo più individuale del calcio, il suo senso di appartenenza a qualcosa di infinitamente più grande di lui non venne mai meno. Condizione che, molto probabilmente, ha contribuito a farlo diventare, oltre che, a detta di molti, il portiere più forte di ogni tempo, una personalità irripetibile nel mondo del calcio."
Una frase, riportata nel libro e tradotta dalla biografia edita in Russia di Lev Jascin, rappresenta in modo chiaro il pensiero di un uomo che visse il Calcio di un'altra epoca. Jascin ebbe infatti a dire del Brasile dopo averlo affrontato nel mondiale 1952: "La Nazionale brasiliana era veramente il punto più alto di quel calcio definito romantico, che non tornerà più."
Ecco: il pensiero del più Grande Portiere della storia del Calcio io lo sottoscrivo appieno e, non a caso, questo blog è sottotitolato "Appunti di Calcio Romantico".
Dedicato "esclusivamente"  a chi ci Crede.














domenica 28 dicembre 2014

Jan Jongbloed "Il Tabaccaio di Amsterdam"


Quando nel 1974 il ct. della nazionale Rinus Michels convocò il trentaquattrenne Jan Jongbloed per il mondiale che si disputò in Germania più di un tifoso in Olanda  trasalì.
Quando poi Jongbloed fu schierato titolare nella gara inaugurale dell'Olanda contro l'Uruguay qualcuno pensò che Michels fosse pazzo a preferirlo al più giovane e rampante Piet Schrijvers
Fino a quel mondiale lì, infatti, Jongbloed aveva disputato solo una gara da titolare con la maglia della nazionale olandese e, per di più, parecchi anni prima: nel lontanissimo 1962.
Quando venne richiamato in nazionale per disputare il mondiale di calcio Jongbloed militava nel FC Amsterdam e divideva il suo tempo tra i campi di calcio, gli allenamenti e il suo negozio di tabacchi in quel di Amsterdam.
Il c.t. Michels sapeva bene che quel portiere  trentaquattrenne, che giocava rigorosamente senza guanti e che non aveva certo uno stile impeccabile, era proprio quello che gli serviva per far vedere al mondo come funzionava il  "Calcio Totale".
E così, nel mondiale 1974, il portiere olandese fu impegnato più come libero aggiunto della sua formazione che come portiere. I guanti non gli servirono poi molto e con quel numero 8 stampato sulle spalle sembrò quasi naturale vederlo sempre lì, al limite della sua area di rigore attendere gli sviluppi delle azioni avversarie. Se quella maglia numero 8 non fosse stata gialla Jan Jongbloed sarebbe veramente sembrato il libero e non il portiere degli orange.
Dopo il 2-0 inflitto agli uruguagi all'esordio e il pareggio a reti bianche con la Svezia l'Olanda sconfisse seccamente la Bulgaria per 4-1. L'unico gol che subì Jongbloed fu in realtà una autorete del compagno di squadra Ruud Krol.
Nella seconda fase del mondiale l'Olanda sconfisse 4-0 l'Argentina mentre a Germania Est e Brasile fu servito in egual modo un secco 2-0.
Quando Jan Jongbloed si presentò tra i pali dell'Olimpiastadion di Monaco di Baviera nel pomeriggio del 7 luglio 1974, giorno della finale contro la Germania Ovest, aveva subito un solo gol in ben 6 partite.
Già da qualche partita, prima di quella disputata quel giorno, in Olanda nessuno rideva  più del "Tabaccaio di Amsterdam".
Seppur sconfitta per 2-1 dalla Germania Ovest il passo falso non offuscò minimamente la grande lezione che il c.t. Rinus Michelsm impartì al mondo intero: in quel mondiale nacque  il mito dell'Olanda e del suo Calcio Totale. Uno spettacolo nello spettacolo tutto condensato in quel primo minuto di gioco di quella finale mondiale in cui, senza mai far toccare il pallone ai tedeschi (che non sono certi soliti stare con le mani in mano), l'Olanda passò in vantaggio con Neeskens su rigore.
A fermare le avanzate degli avversari ci pensava lui, Jan Jongbloed, "Il Tabaccaio di Amsterdam".
Nel mondiale 1978 in Argentina, con l'austriaco Ernst Happel alla guida degli orange  Jongbloed restò a guardia della porta nelle sfide contro Iran (3-0 per l'Olanda) Perù (0-0) e nella sconfitta con la Scozia per 3 a 2.
Nella successiva sfida con l'Austria, valida per il secondo turno, Jongbloed fu sostituito da quel Piet Schrijvers che già l'opinione pubblica voleva titolare nel 1974. L'olanda vinse per 5-1.
Qundi Jongbloed osservò, ancora dalla panchina, i suoi compagni pareggiare 2-2 contro la Germania Ovest nella riedizione (povera) della finale 1974.
Nella gara successiva contro la nostra Italia Jan Jongbloed subentrò a Schrijvers che si infortunò al ventesimo minuto del primo tempo e, di fatto, finì lì il suo mondiale.
La vittoria per 2-1 contro l'Italia proiettò l'Olanda in finale dove ad attenderla c'era l'Argentina padrona di casa.
La finale ARGENTINA -OLANDA che si disputò domenica 25 giugno 1978 è, per me, un po' come la madre di tutte le partite così come riportato nella descrizione iniziale di questo blog e così come ho già scritto nel post: http://allafinedelprimotempo.blogspot.it/2013/09/argentina-olanda-1978-tutti-i-colori.html
Jan Jongbloed chiuse di fatto lì, nel 1978, la sua avventura con la nazionale olandese.
Nel 1984 vide morire in campo suo figlio, pure portiere del DWS Amsterdam, colpito da un fulmine.
Jongbloed continuò a giocare a livello di club  fino al 1986 quando, alla veneranda età di 46 anni mentre era in forza alla formazione dei Go Ahead Eagles,  decise che era arrivato il momento di smettere.
Jan Jongbloed resterà per sempre nella galleria dei più leggendari. "Il Tabaccaio di Amsterdam": una leggenda nella leggenda.













Etienne Bausch e quei tiri tremendi di Levratto




Accadde il 29 maggio 1924 durante i Giochi Olimpici di Parigi.
Nella gara valida per gli ottavi di finale del torneo di calcio si incontrarono l'Italia del Commissario Tecnico Vittorio pozzo e  il Lussemburgo.
In quella formazione dell'Italia Olimpica giocava come punta il savonese Felice Levratto che, pur giocando nel Vado Ligure in seconda divisione, venne convocato da Pozzo e debuttò in nazionale nella gara di qualificazione che vide l'Italia superare la Spagna per 1 - 0 il 25 maggio (cioè solo quattro giorni prima dell'ottavo di finale in questione).
La storia calcistica di Levratto si potrebbe ben sintetizzare in quel soprannome che gli venne affibiato: "Lo sfondareti".
Il "nostro" attaccante era infatti dotato di un tiro potentissimo che, spesso, passava oltre le maglie della rete della porta.
In quel pomeriggio del maggio 1924 il portiere lussemburghese Etienne Bausch passò 90 minuti da incubo.
Quando Felice Levratto scagliò il primo tiro verso la  porta del Lussemburgo l'unica sfortuna di Bausch fu che la palla non finì in rete, bensì lo colpì in pieno volto facendolo letteralmente stramazzare al suolo.
Il potente tiro di Levratto causò al portiere del Lussemburgo una ferita alla lingua che lo stesso si serrò tra i denti nel forte impatto.
A quei tempi le sostituzioni dei giocatori non erano previste e pertanto i medici della formazione lussemburghese si adoperarono per rimettere in piedi alla bene e meglio Etienne Bausch che ancora sanguinava dalla bocca.
Una volta rimessosi in piedi il portiere Bausch si vide di nuovo di fronte Levratto palla al piede.
E qui le versioni divergono. 
In quella che lessi da bambino nel "Manuale del Calcio" (ed. Mondadori) si raccontava che, quando Levratto prese lo slancio per tirare, Bausch scappò fuori dal campo e il tiro dello sconcertato Felice finì, per effetto della sorpresa dello stesso attaccante, a lato.
Un'altra versione vuole invece che, essendo la gara già sul risultato di 2 - 0 per l'Italia, lo stesso Levratto calciò  la palla belle e apposta a lato  quando vide che il portiere lussemburghese si coprì il volto per non vedere il tiro.
Comunque sia andata di certo c'è che "Lo Sfondareti" andò in giro ancora per tanto tempo a terrorizzare i portieri con i suoi potenti tiri ed altrettanto certo è che Etienne Bausch non dimenticò mai i tiri di Levratto.



Juan Carlos Ablanedo e il Campionato Europeo Under 21 1985/1986


Accadde la sera del 29 ottobre 1986 a Valladolid, in Spagna.
Le nazionali di Italia e Spagna Under 21 si affrontarono nella gara di ritorno della finale del campionato europeo di categoria.
La gara di andata si disputò a Roma il 15 ottobre 1986 e si chiuse con il risultato di  2 - 1 per l'Italia.
Così nella gara di Valladolid gli spagnoli dovettero partire all'arrembaggio per ribaltare il risultato.
La gara iniziò male per l'Italia con l'autorete del libero Cravero ma poi  l'azzurro Francini siglò il pareggio al 38° minuto del primo tempo.  Lo spagnolo Roberto fissò il risultato sul 2 - 1 per la Spagna al minuto 76 e, quindi, si ribaltò il risultato della gara d'andata.
Dopo che anche i tempi supplementari finirono senza variazione di punteggio si andò a decretare la vincitrice del campionato europeo con la lotteria dei calci di rigore.
E qui divenne grande protagonista il portiere spagnolo Juan Carlos Ablanedo.
Portiere di statura non elevatissima (a me  ricordava tantissimo il romanista Franco Tancredi) Ablanedo era però dotato di ottima tecnica di base ed era molto affidabile.
Una carriera spesa interamente a difendere i pali dello Sporting di Gijon quella di Ablanedo che  vide quella notte, a Valladolid, la sua consacrazione a livello europeo.
Dall'altra parte l'Italia  aveva tra i pali un fenomenale Walter Zenga; l'"Uomo Ragno".
Ma quella notte, me lo ricordo come fosse ora, il dischetto del rigore fu molto amaro per l'armata azzurra.
Il primo rigore battuto dal "Principe" Giuseppe Giannini fu parato da Ablanedo tra il tripudio di tutto lo stadio di Valladolid.
Quindi l'azzurro Desideri spedì a lato il secondo rigore azzurro.
Quando si era già sul 2 - 0 nella sequenza dagli undici metri ci pensò ancora Ablanedo a mettere il sigillo sulla partita.
Il portiere spagnolo parò anche il rigore dell'azzurro Barone e così alla rete dello spagnolo Ramon Vasquez la Spagna vinse la competizione.
Quella notte consacrò per me il talento di Juan Carlos Ablanedo un portiere che, in Spagna, vinse per ben tre volte il Trofeo Zamora nel  1984/1985, nel  1985/1986 e nel 1989/1990.
Considerando che Ablanedo  giocò sempre difendendo i pali di un club non certo di primissimo piano come lo Sporting Gijon fa intendere che Juan Carlos Ablanedo si può considerare tra i grandissimi portieri spagnoli di ogni tempo.



P.S. Grazie all'amico Shahan che postò su youtube queste immagini.



sabato 27 dicembre 2014

Ricardo Zamora detto "El Divino"


Nato a Barcellona nel 1901 Ricardo Zamora è considerato uno dei più grandi portieri della Storia del Calcio Mondiale.
Non esiste manuale del calcio che, alla voce portiere, ometta di indicare lo spagnolo Zamora tra i più grandi di ogni tempo. 
Di lui si diceva che studiasse tutti gli avversari al punto tale di poterne tranquillamente anticipare le intenzioni. 
Per questo motivo lo spagnolo si trovava sempre pronto al posto giusto nel momento giusto parando così i tiri degli avversari.
Per questa sua innata capacità di "leggere" nella mente dei suoi avversari Ricardo Zamora venne soprannominato "El Divino".
Ricordo, come fosse ora, le  immagini che il celebre vignettista italiano Carmelo Silva dedicò a Zamora e che vennero pubblicate sull'inserto settimanale della Gazzetta dello Sport sul finire degli anni settanta.
In quelle tavole (riproposte qui sotto) Silva rappresentò Ricardo Zamora prima intento nello studio del suo avversario e quindi in azione dopo averlo ipnotizzato in occasione di un calcio di rigore.




Della sua carriera a difesa della porta della nazionale spagnola (che lo vedrà alla fine totalizzare  46 presenze) resterà leggendaria la prestazione che, a Firenze nei quarti di finale il 31 maggio 1934, bloccò l'Italia (che sarà poi campione) nel mondiale di calcio che quell'anno si disputò proprio  in Italia.
Dopo la rete del pareggio italiano realizzato da Schiavio proprio con una carica ai danni di Zamora la sfida si dovette ripetere il giorno dopo.
Tuttavia il 1 giugno 1934 Ricardo Zamora non si presentò in campo. Ufficialmente infortunato a seguito dello scontro con Schiavio, circolarono voci che la mancata presenza del leggendario "guardameta" spagnolo fosse da attribuire ad una sorta di protesta dello stesso per il gol irregolarmente subito il giorno prima. Ai tempi del fascismo e del Duce la protesta dello spagnolo, se tale fosse stata nelle sue intenzioni, non passò inosservata.
Senza il suo portiere titolare, sostituito da Nogués, la Spagna fu sconfitta per 1 rete a 0, segnò Giuseppe Meazza.
Dopo aver giocato per Espanyol e Barcellona Ricardo Zamora fu acquistato dal Real Madrid per una cifra che, a qui tempi, era iperbolica: 100.000 pesetas.
"El Divino" Zamora era diventato una Leggenda tanto che, il giorno in cui si ritirò dal calcio giocato un giornalista spagnolo scrisse: "Como guardameta tan solo puede  ser igualado nunca superado."
Dalla stagione 1958-1959 il giornale MARCA istituì il premio ZAMORA che, ogni anno da allora, premia il portiere meno battuto del campionato spagnolo.
Una leggenda, quella di Zamora (morto nel 1978) , che non avrà mai fine.


domenica 21 dicembre 2014

Bodo Illgner l'erede di Toni Schumacher


Accadde il 22 febbraio 1986  allo stadio Olimpico di Monaco di Baviera.
Quel pomeriggio il Bayern di Monaco affrontava il Colonia.
Al ventesimo minuto del secondo tempo, sul 2 a 1 per i bavaresi l'arbitro Fockler decretò l'espulsione del leggendario portiere del Colonia  Harald "Toni" Schumacher per un fallo in area di rigore ai danni del bavarese Wohlfarth.
Così, quel pomeriggio a Monaco di Baviera, esordì tra i pali del Colonia il giovanissimo Bodo Illgner.
Poco importa che, appena entrato,  Illgner incassò la sua prima rete in Bundesliga ad opera del centrocampista Lothar Matthaus: a nemmeno 19 anni d'età Bodo esordiva in campionato in sostituzione di un monumento vivente come Toni.
Nato a Coblenza il 7 aprile 1967 Bodo Illgner conquistò nella stagione successiva (1986/1987) la maglia da titolare del Colonia  allorché Schumacher venne allontanato a causa della famosa autobiografia "ANPFIFF" (Fischio d'inizio) in cui denunciava la ricorrente pratica  del doping a cui le squadre della Germania facevano ricorso.
Per undici stagioni Bodo Illgner fu titolare inamovibile del Colonia collezionando ben 326 presene in campionato e diventando, a tutti gli effetti, l'erede di Toni Schumacher.
Nel 1991 fu nominato miglior portiere del continente europeo.
Nella stagione 1996/1997 venne acquistato dal Real Madrid e,  in Spagna, collezionò 91 presenze in cinque stagioni prima di cedere il posto all'astro nascente del calcio spagnolo, il giovane Iker Casillas.
Con le "merengues" Illgner vinse la Champions League nella stagione 1997/1998 giocando da titolare e bissò poi il successo nel 1999/2000 sempre con il Madrid ma senza giocare la finale.
Bodo Illgner entrò anche nella leggenda della nazionale tedesca quando, nel mondiale di Italia 1990, consentì alla sua nazionale di passare il turno di semifinale contro l'Inghilterra parando un calcio di rigore all'inglese Stuart Pearce.
Nella gara finale la Germania sconfisse l'Argentina di Maradona per 1 rete a 0 e così Bodo Illgner entrò nell'olimpo dei grandi portieri della Germania Campione del Mondo.
A dirla tutta, già ai tempi della sua militanza nella nazionale under 16 tedesca Illgner conseguì, con i compagni, il titolo di Campione d'Europa. Era un predestinato.
Quando nel 2000, a soli 33 anni, Bodo Illgner si ritirò dal calcio giocato aveva praticamente vinto quasi tutto quello che un calciatore professionista può sognare di poter vincere.
Bodo Illgner, una leggenda o, per dirla alla tedesca: Die Towart-Legende.









sabato 20 dicembre 2014

Thomas N'Kono detto lo Zamora Nero.


Thomas N'Kono, portiere camerunense nato il 20 luglio del  1955 a Dizanque,  si può considerare uno dei più forti portieri espressi dal movimento calcistico del continente africano.
Titolare della maglia numero 1 della nazionale del Camerun al mondiale di calcio spagnolo del 1982 e quindi ancora sulla cresta dell'onda al mondiale che si disputò in Italia nel 1990, N'Kono ha collezionato ben 110 presenze tra i pali dei Leoni Indomabili. 
Nel mondiale americano del 1994 N'Kono, pur incluso nella comitiva camerunense, non scese mai in campo.
Questo portiere, dotato di riflessi straordinari, giocava sempre con i pantaloni lunghi e rigorosamente neri. A vederlo tra i pali sembrava di trovarsi di fronte ad una pantera nera.
Già calciatore africano dell'anno nel 1979 (fu il primo portiere nella storia a ricevere tale riconoscimento)  nel 1982 si rivelò al mondo in tutta la sua bravura grazie alla partecipazione del Camerun al mondiale in Spagna. 
Sempre  in quel  1982 vinse per la seconda volta il premio destinato al miglior giocatore del continente africano.
Al termine del mondiale spagnolo il forte portiere africano fu ingaggiato  proprio in Spagna dall'Espanyol di Barcellona.
Dopo 12 anni trascorsi al Canon di Yaounde  (1970-1982) N'Kono passò ben 11 stagioni in Spagna: dal 1982 al 1991 a difesa dei pali dell'Espanyol  e poi, per due stagioni dal 1991 al 1993,  giocò nel Sabadell.
Ai tempi dell'Espanyol Thomas N'Kono disputò anche una finale di coppa Uefa, nella stagione 1987/1988 perdendola ai calci di rigore contro i tedeschi del Bayer Leverkusen.
Proprio a Barcellona Thomas N'Kono diventò uno dei più grandi beniamini dei tifosi dell'Espanyol: per lui fu coniato un soprannome addirittura leggendario: lo chiamarono "El Zamora Negro", lo Zamora Nero.
E, se gli spagnoli scomodarono il loro portiere più leggendario, un motivo c'era: Thomas N'Kono era un grande interprete del ruolo ed è tuttora considerato una leggenda tra i grandi che hanno vestito la maglia dei Leoni d'Africa: una leggenda del Camerun.





domenica 14 dicembre 2014

Milan vs Higuita 1 - 0



Il 17 dicembre 1989, alle ore 6 del mattino, con un freddo bestiale, eravamo in quattro in mezzo alla Via Corridoni a festeggiare la seconda vittoria  del Milan nella coppa Intercontinentale.
La prima coppa intercontinentale  i rossoneri la vinsero nel 1969. Non ero ancora nato.
Ecco quindi che la notte del 17/12/1989 ho vissuto la mia prima gioia intercontinentale rossonera.
Io, mio fratello, il mio omonimo Mauro Tagliabue  e il mitico Alberto Conti eravamo appena usciti da casa di Danilo Abbondi dopo aver assistito alla sfida tra il MILAN campione d’Europa e i colombiani del Nacional de Medellin campioni del sudamerica.
Qualcuno tra voi probabilmente se lo ricorderà anche, le sfide di coppa Intercontinentale si giocavano a Tokyo quando qui in Italia era notte fonda. Oltretutto gli sfegatati tifosi giapponesi seguivano la partita facendo suonare delle trombette che rendevano l’acustica dell’evento sportivo davvero unica. Chi ha avuto la fortuna di vedere almeno una volta tali partite quel suono inconfondibile se lo ricorderà ancora.
L’appuntamento era per le 2 del mattino. Mio fratello mi venne a svegliare per portarmi con lui. Era la gioia dell’evento che arrivava che non ci faceva avvertire il freddo di quella notte. L’amico Danilo, gran sfegatato rossonero, ci ospitava per la gran nottata.
Da notare come, dei cinque presenti, quella notte il solo e mitico Alberto era “neutro”, ossia non tifoso, ma voleva esserci, per il gusto di esserci.
Da gran studioso di calcio mi ero ben documentato sui nostri avversari. Una squadra di emeriti sconosciuti dove l’unico elemento eccezionale era (guarda i casi della vita) il portiere. Rene Higuita era infatti la stella del Medellin.
Higuita era il prototipo del portiere autenticamente LOCO (MATTO), per questo in Sudamerica egli era conosciuto solo come “EL LOCO” Lui batteva i rigori, tirava le punizioni, e difendeva la sua porta più come libero che come portiere. Egli stazionava infatti sempre sulla lunetta dell’area grande. Il portiere del Medellin divenne la colonna portante della nazionale Colombiana che a tratti stupì il mondo per il suo gioco spettacolare ai mondiali di Italia 90. Altri portieri, dopo di lui, iniziarono a giocare con i piedi alla ricerca del goal, il paraguayano Chilavert e il messicano Campos sono i suoi eredi.
La partita si presentava difficile, e così fu. EL LOCO HIGUITA organizzò un paio delle sue uscite spericolate fuori aria per fermare i nostri attaccanti (in particolare Van Basten).
Finirono i tempi regolamentari senza che lo 0 – 0 iniziale fosse variato. La sofferenza dei supplementari durò fino al 119 e penultimo minuto di gara. A quel minuto corrispose un calcio di punizione che il mitico Chicco Evani sparò dentro dritto per dritto alle spalle del  portiere colombiano. ERAVAMO CAMPIONI DEL MONDO!!! Scoppiò tutta la nostra gioia… tanta… troppa…
20 anni dopo la prima coppa INTERCONTINENTALE del 1969 era finalmente arrivato il bis.

(Testo originariamente redatto nell’agosto del 2002)

Nel frattempo sono passati 25 anni …  e quella notte resterà indimenticabile.




sabato 13 dicembre 2014

Quando "Toni" Schumacher uscì a vuoto nella finale Mondiale del 1986



Accadde il 29 giugno 1986 allo stadio Azteca di Città del Messico.
Quel giorno lì l’Argentina affrontò la Germania Ovest nella partita finale del mondiale di Calcio.
Da una parte il grande argentino Diego Armando Maradona, stella indiscussa del mondiale, e dall'altra  la solidità del gioco dei tedeschi.
Tra i pali della Germania  c’era lo straordinario Harald “Toni” Schumacher  che aveva contribuito in maniera determinante all'approdo dei tedeschi in finale risultando decisivo -  in particolar modo -  nella sfida dei quarti di finale contro il Messico quando  la gara si concluse ai calci di rigore.
Il portiere tedesco era famoso per le sue uscite spericolate e per il modo autoritario con il quale controllava tutta la sua area di rigore.
Memorabile l’incidente al Mondiale di Spagna 1982 allorché "Toni"  si scontrò in un'uscita al limite del lecito con il francese Battiston mandandolo all'ospedale.
Tuttavia, quel giorno, allo Stadio Azteca gli dei dei calcio avevano in serbo per lui un’amara sorpresa.
Quando l’orologio dell’incontro segnava il minuto 22 un calcio di punizione assegnato all'Argentina venne calciato verso il centro dell’area di rigore tedesca da Burruchaga.
Quando il pallone arrivò nell'area di rigore il leggendario “Toni” Schumacher si trovò  a mezz'aria proteso in un’uscita completamente sbagliata, sia per la scelta del tempo che per la valutazione della traiettoria del pallone.
Quel momento lì consegnava alla storia una delle pochissime  “uscite a vuoto” del grande “Toni”.
La palla finì sulla testa di Brown che realizzò la rete del vantaggio argentino.
La storia racconta poi che l’Argentina si impose per 3 reti a 2 diventando campione del Mondo.
Per Harald “Toni” Schumacher  quella partita resterà  tra i ricordi di una delle sue  poche, pochissime, uscite a vuoto.










Luciano Castellini detto "Il Giaguaro"



Luciano Castellini, nato a Milano il 12/12/1945, è stato il portiere titolare dell’ultimo scudetto vinto dal Torino nella sua storia: parliamo della stagione  1975-1976.
Portiere agile e spettacolare nei suoi interventi Castellini era soprannominato “Il Giaguaro” proprio per queste sue eccelse qualità acrobatiche.
Racconta la storia che la domenica  in cui si giocò l’ultima giornata di quel campionato 1975-1976, il 16 maggio 1976,  i granata erano impegnati in casa contro il Cesena (grande rivelazione del campionato) mentre la Juventus, che inseguiva i granata ad un solo punto di distacco, era impegnata fuori casa a Perugia.
Si decideva tutto in quei novanta minuti finali.
Quel pomeriggio al comunale di Torino  si trovarono di fronte  Castellini, tra i pali del Toro, e il “dottor” Boranga  tra i pali del Cesena. Due ottimi portieri.
Dopo il vantaggio granata con Pulici il sogno scudetto per i granata, cullato per anni, sembrò svanire allorché in uno sciagurato disimpegno difensivo il  granata Mozzini infilò la porta sbagliata: Castellini osservò  impotente il passaggio indietro del compagno infilarsi in rete.
Furono attimi di smarrimento per i tifosi granata.
La gara di Torino  finì così per 1 – 1  mentre a Perugia, con un risultato a sorpresa, la squadra locale piegò la Juventus .
Il Torino, nonostante il pareggio,  era Campione d’Italia e il pianto liberatorio del “Giaguaro” Castellini mentre abbracciava l’incredulo allenatore Gigi Radice raccontò di un’impresa storica.
Dopo otto stagioni con il Toro  nel campionato 1978/1979 Luciano Castellini passò a  difendere i pali del Napoli.
Il  “Giaguaro”, così come era successo a Torino, divenne in poco tempo un punto fermo della squadra partenopea e un beniamino per il pubblico.
Al termine della stagione 1984/1985 Castellini si ritirò lasciando dietro di sé la sua storia, fatta di parate spettacolari e interventi acrobatici. La storia di un professionista e, prima ancora, di un esemplare uomo di sport: la storia unica del “Giaguaro”.




domenica 7 dicembre 2014

Quando Franco Tancredi fu colpito da due petardi a Milano


Accadde il pomeriggio di domenica 13 dicembre 1987 allo stadio Giuseppe Meazza di San Siro in Milano.
La Roma del Barone Nils Liedholm salì a Milano per una delicata sfida contro il Milan di Arrigo Sacchi.
Il Milan, dopo dieci giornate di quel campionato 1987/1988,  tallonava il Napoli di Diego Armando Maradona che era in vetta al campionato.
Racconto una storia del tempo in cui il nostro campionato di calcio, la Serie A, era ancora il Campionato di Calcio più bello del mondo.
Quel pomeriggio, a Milano, il primo tempo di era chiuso a reti bianche. Da Napoli, invece,  arrivò la notizia del vantaggio dei partenopei sulla Juventus.
A pochi minuti dall'inizio del secondo tempo, mentre il portiere romanista Franco Tancredi stava raggiungendo il suo posto tra i pali, piovvero in campo alcuni petardi lanciati dai tifosi milanisti che stavano dietro la porta della Roma. 
Un petardo colpi Tancredi alla gamba mentre un altro gli scoppiò di fianco provocandogli uno svenimento.
Nelle cronache del dopo-partita il medico sociale della Roma, il Dottor Alicicco, raccontò di come il portiere romanista avesse rischiato la morte avendo sofferto di un arresto cardiaco con conseguente  ipomobilità delle gambe,  ipoacusia, oltre ad aver subito la sub-lussazione della mandibola: insomma più una cronaca da bollettino di guerra che la cronaca di una partita.
Tancredi fu portato poi in ospedale dove arrivarono le prime rassicurazioni sul suo stato di salute.
In sostituzione del portiere titolare esordì, tra i pali della Roma, un portiere che avrebbe poi scritto belle pagine di storia calcistica del'italica nazione: il giovane Angelo Peruzzi.
La cronaca della partita raccontò poi che, sul campo, il Milan vinse quella gara grazie ad un calcio di rigore realizzato dall'attaccante Pietro Paolo Virdis all'ottantaduesimo minuto di gioco.
Di lì a due giorni, com'era nelle attese, il Giudice Sportivo inflisse ai rossoneri la sconfitta per 0- 2 a tavolino a causa dell'incidente a Tancredi.
Con quel risultato a tavolino il Napoli  (vittorioso per 2 - 1 contro la Juventus) allungò il distacco in classifica.
Fu un'altra domenica amara per il calcio dell'italico stivale.
Ma l'importante, alla fine di quel concitato pomeriggio, fu sapere che Tancredi stava bene e si sarebbe ripreso in poco tempo. 
Il portiere romanista era  sempre stato un professionista esemplare. Un autentico Signore che non si meritava certo di divenire bersaglio di quegli pseudo-tifosi che in quella stagione stavano rovinando il Campionato più bello del Mondo.
Alla fine di quella stagione il "mio" Milan vinse la corsa scudetto con il Napoli e fu solo l'inizio della Storia del Grande Milan di Arrigo Sacchi.
Ma quella lì è un'altra storia.





sabato 6 dicembre 2014

La leggenda di Lamberto Boranga


Quella di Lamberto Boranga (portiere - tra le altre -  di Perugia, Fiorentina, Cesena, Parma) non è una storia. E' molto di più. E' qualcosa di molto simile ad una Leggenda.
Nato a Foligno il 30/10/1942 Boranga è stato uno dei grandi protagonisti del campionato di Calcio di Serie A  nei primi anni settanta. 
Di lui venivano tramandate le "pazzie" e le storie sul suo conto trascendevano la realtà per sconfinare nel mito. 
Si racconta che esiste una foto che lo ritrae, nel corso di una partita di campionato, mentre sorseggia beatamente un caffè che si fece servire tra i pali.
O ancora che, una volta, durante una gara in cui non fu particolarmente impegnato dagli avversari si andò a sedere sopra la traversa della sua porta.
Tutte le storie che lo riguardano sono state raccontate dallo scrittore e giornalista  Andrea Bacci in uno stupendo libro intitolato "IL CAPPOTTO SPAGNOLO - Parate, pazzie e voli acrobatici del dottor Lamberto Boranga" edito dalla beneamata casa editrice LIMINA.
In quel titolo c'è già tutta la straordinarietà di Boranga: infatti quel "dottor"  è il riferimento alle due lauree (in Medicina e in Biologia) che Lamberto Boranga conseguì nel mentre la sua carriera sportiva andava avanti.
Uno dei pochi - pochissimi - calciatori laureati.
Dal libro di Bacci viene fuori un personaggio veramente fantastico. Unico. 
La traiettoria umana che sorvola e si intreccia con  quella sportiva e ci regala il punto di vista di un uomo che è sempre stato coerente con le sue idee. Uno che parlava di doping nel calcio (in questo vicino al "mio" Toni Schumacher che denunciò tutto il marcio del calcio tedesco in un libro) quando nessuno osava anche solo pensarlo.
Il libro, uscito nel 2005, lasciava Boranga dedito alla sua attività di medico sportivo e sempre alle prese con più di un'attività sportiva vissuta, come sempre, con la passione e la gioia dell'eterna giovinezza.
Un libro che, a mio parere, andrebbe portato nelle scuole per far capire ai ragazzi che sognano nella vita di diventare dei campioni nello sport quanto sia importante anche lo studio. Perché poi nella vita non si sa mai.
E la cronaca ci racconta che, ancora oggi, il settantaduenne  Lamberto Boranga vola tra i pali di una porta come fosse un ragazzino oppure si diverte a battere il record del mondo di salto in alto nella categoria "master - over 70" come fosse la cosa più "semplice" di questo mondo.
Una Storia Splendida  quella di Lamberto  Boranga il portiere che a 72 anni ancora vola tra i legni di una porta come se ne avesse 20. Come se il tempo non fosse mai passato.
In una parola:  Leggendario.












Jan Tomaszewski e "La Battaglia navale di Francoforte"


Accadde a Francoforte nel tardo pomeriggio di mercoledì 3 luglio 1974.
Nella gara tra Polonia e Germania Ovest c'era in palio un posto per la finalissima del Campionato del Mondo che si disputò in Germania.
Le due squadre arrivarono all'appuntamento di Francoforte dopo aver battuto entrambe, nella seconda fase di qualificazione, Svezia e Jugoslavia.
La gara iniziò con il sole ma un incredibile acquazzone estivo rese il campo quasi impraticabile e, ancora oggi, quella sfida viene epicamente ricordata in Germania come "La Battaglia Navale di Francoforte".
Di fronte si trovarono due portieri straordinari. Il tedesco Sepp Maier e il  polacco Jan Tomaszewski.
Due squadre fortissime. Quella vista nel 1974 fu forse la miglior Polonia di ogni tempo.
In quella gara delicatissima sia il polacco Tomaszewski che il tedesco Maier furono perfetti. Pararono anche  l'impossibile e quando l'arbitro decretò un rigore a favore della Germania Ovest con il risultato ancora inchiodato sullo zero a zero il portiere polacco compì un autentico capolavoro. Parò infatti, tuffandosi sulla sua destra il tiro calciato dal tedesco Uli Hoeness mantenendo così in bilico la sfida.
Al 76° minuto di quella "battaglia" quel funanbolo del bomber tedesco Gerd Muller decise le sorti dell'incontro raccogliendo un rimpallo in area di rigore e battendo imparabilmente Tomaszewski con un preciso diagonale.
"La Battaglia Navale di Francoforte" si risolse così con la vittoria dei tedeschi padroni di casa. 
Quattro anni dopo, il 1 giugno 1978, Maier e Tomaszewski si trovarono di nuovo di fronte in una gara di Coppa del Mondo. Ma quel pomeriggio, al "Monumental" di Buenos Aires, nessuno riuscì a segnare reti ai due straordinari portieri e la sfida terminò zero a zero.
In quel mondiale 1978 Tomaszweski con la sua Polonia passò al secondo turno battendo, dopo il pareggio iniziale coi tedeschi,  Tunisia e Messico. 
Nella seconda fase la Polonia fu poi eliminata. Non era più la squadra brillante che spaventò i tedeschi nel 1974.
Jan Tomaszewski resterà sempre nella storia come il più forte portiere polacco di ogni tempo.
L'impresa più gloriosa della sua carriera la compì a Wembley nell'ottobre 1973 quando con le sue strepitose parate ed un po' di sana follia fermò con la sua Polonia l'Inghilterra inchiodandola sul punteggio di 1 a 1 che consentì ai polacchi di qualificarsi per il mondiale 1974.
Quando il nostro leggendario Dino Zoff smise di giocare organizzò una festa a San Remo dove invitò solo i colleghi portieri che più stimava: quel giorno lì c'erano, tutti insieme,  Lev Jascin, Gordon Banks e Jan Tomaszewski  ... tra i più grandi portieri ogni epoca.


(Dino Zoff & Jan Tomaszewski)








domenica 30 novembre 2014

Ronnie Carl Hellström meglio noto come l'Uomo Gatto


Al termine del Campionato Mondiale di Calcio che si disputò in Germania nel 1974 il club tedesco del 1 FC Kaiserslautern  ingaggiò il portiere Ronnie Carl Hellström.
Il portiere della Svezia, che già aveva disputato una gara nel mondiale messicano del 1970, fu uno dei grandi protagonisti della rassegna mondiale.
In Messico, nel 1970, Hellström giocò solo la prima gara che la Svezia disputò contro l'Italia. 
In quell'occasione proprio una grave incertezza dell'estremo difensore svedese su un tiro - non certo irresistibile -  di Domenghini consentì all'Italia di vincere la gara per una rete a zero: con quell'errore, nella partita iniziale, si concluse il mondiale di Hellström che venne relegato in panchina dall'allenatore Bergmark.
Hellström si prese la sua rivincita nel mondiale 1974 competizione nel corso della quale iniziò ad essere chiamato l'Uomo Gatto per via dei suoi interventi plastici che richiamavano in tutto e per tutto i movimenti del felino.
In quell'edizione della competizione iridata il "nostro" giocò tutte le sei gare disputate dalla Svezia.
Dopo un doppio zero a zero contro Bulgaria e Olanda la Svezia piegò l'Uruguay per 3 reti a 0  passando così al secondo turno.
Nella seconda parte della fase finale la Svezia venne piegata dalla Polonia per una rete a zero mentre più dura fu la sconfitta subita ad opera dei padroni di casa della Germania Ovest che bucò la rete di Hellström ben quattro volte (4-2 fu il risultato finale). Tuttavia, in quella gara, il portiere svedese fece più di un miracolo salvando la Svezia da un passivo anche peggiore e contribuendo ad  alimentare la sua leggenda.
La vittoria finale contro la Jugoslavia per 2 - 1 non servì che a rendere meno amara l'eliminazione dal mondiale.
Proprio al termine della rassegna iridata il portiere svedese venne ingaggiato dal club tedesco del 1 FC Kaiserslautern.
Con il club tedesco Hellström giocò per ben dieci stagioni consecutive disputando 266 gare di campionato e 28 di coppa di Germania.
Al mondiale 1978 Hellström si presentò con l'accredito di essere nel lotto dei migliori portieri del mondo.
Tuttavia in Argentina l'Uomo Gatto non ebbe grande fortuna e con la sua Svezia venne eliminato al primo turno dopo un pareggio 1-1 contro il Brasile e la doppia sconfitta per 1-0 contro Austria e Spagna.
Chiuse la carriera agonistica nel 1984 rientrando in patria per contribuire, con la sua esperienza, ad allenare e formare giovani portieri svedesi.
Resterà per sempre nella memoria degli appassionati di calcio per i suoi incredibili interventi.
Il grande Ronnie Hellström: l'unico e vero "Uomo Gatto".




  




La scomparsa di Lucidio Sentimenti (IV)


Un'altro degli "Originali" se n'è andato.
Lo scorso 28 novembre si è spento Lucidio Sentimenti meglio conosciuto come Sentimenti IV.
Insieme a Combi, Zoff e al nostro contemporaneo Gigi Buffon, Sentimenti IV resterà per sempre nella storia come uno dei più forti portieri della Juventus.
Nato a Bomporto, nella provincia modenese, nel 1920 Lucidio è il quarto di cinque fratelli che sono stati tutti calciatori.
Sentimenti IV giocò anche per Modena, Vicenza, Lazio e in tre occasioni difese anche la rete del Torino.
E' stato uno dei primi portieri, nella storia del calcio mondiale, a battere i calci di rigore. 
E' il 17 maggio 1942 quando si disputa Napoli - Modena:  Lucidio Sentimenti difende i pali del Modena mentre il fratello Arnaldo è tra i pali dei partenopei.
A cinque minuti dalla fine l'arbitro fischia un calcio di rigore a favore del Modena.
Dal dischetto degli undici metri si consumò la sfida tra i due fratelli Sentimenti IV contro Sentimenti II: Lucidio calciò sicuro come suo solito e non lasciò scampo al fratello Arnaldo.
Nella stagione 1958-1959, quando Lucidio aveva già smesso di giocare ed era allenatore del Cenisia in serie D, venne chiamato a difendere la porta del Torino che era in piena emergenza per l'assenza dei portieri Vieri e Rigamonti: in quelle domeniche Sentimenti IV difese i pali granata gratuitamente.
Voleva forse risarcire i tifosi del Grande Torino per il fatto di essere stato titolare (anni prima)  della porta della nazionale italiana  - da juventino -  in una squadra che per  nove undicesimi era granata (l'altro "estraneo" era lo straordinario Parola).


Felice Pulici da Sovico allo scudetto con la Lazio


Il Pulici più celebre della storia del Calcio Italiano è senz'altro quel Paolino che insieme a Ciccio Graziani costituì  una delle coppie gol più prolifiche ai tempi del Torino scudettato del '76.
Il Pulici che risultava a me più simpatico, man mano che imparavo la storia del calcio dai manuali della Panini, è invece Felice.
Nato a Sovico (a un tiro di schioppo dalla nostra Cabiate) nel 1945 Felice Pulici  dopo una gavetta tra Lecco e Novara, su e giù tra serie C e serie B approda alla Lazio nella stagione 1972-1973. Per ben cinque stagioni dal 1972 al 1977 il portiere di origine brianzola giocò tutte le 30 partite in calendario nel campionato, senza lasciare mai, nemmeno per una partita, la maglia da titolare.
Felice Pulici entra nelle leggende del calcio italiano quando nella stagione 1973/1974 la Lazio vince il primo scudetto della sua storia.
Nel corso della stagione 1977/1978 il rapporto con la Lazio si rompe e così Pulici ritorna nella "sua" Brianza a vestire la maglia del Monza con cui disputa  31 gare nel campionato di serie B.
Quindi ritorna in serie A vestendo la maglia dell'Ascoli  per tre stagioni.
Quando nel 1981/1982 la Lazio cerca un portiere per disputare il campionato di serie B Felice Pulici non ci pensa due volte e ritorna nella capitale.
Chiuderà lì alla Lazio nella stagione 1982/1983 la sua carriera agonistica.
Resterà poi legato al club capitolino nella veste di dirigente per parecchi anni.
Tre presenze nella nazionale B (quella che è oggi l'Under) completano il palmares di Felice Pulici il portiere dello storico primo scudetto laziale: il brianzolo che conquistò Roma.





mercoledì 26 novembre 2014

La notte in cui Jean-Marie Pfaff fece piangere il Bernabéu


Accadde a Madrid la notte del  22 aprile 1987.
E io me lo ricordo bene. 
La RAI  portò nelle case di tutti gli italiani le immagini della sfida di ritorno delle semifinale di Coppa dei Campioni tra i padroni di casa del Real Madrid e i tedeschi del Bayern München.
Il Bayern del mio Pfaff che, quella sera lì, disputo una delle migliori partite della sua lunga e gloriosa carriera.
La gara di andata fu vinta in modo netto dai tedeschi per 4 reti a 1.
Ma il Madrid era famoso per essere riuscito più volte a ribaltare, tra le mura amiche del Santiago Bernabéu, parziali anche peggiori. 
Oltretutto il Bayern si presentava a Madrid senza uno dei suoi uomini migliori: quel Lothar Matthaus che avrebbe fatto grandi cose pochi anni dopo con la maglia dell'Inter allenata da Giovanni Trapattoni.
Come era nelle previsioni: pronti via ed iniziò l'assedio dei madridisti alla porta del grande Jean-Marie.
E il portiere belga inziò  il suo show fatto di parate straordinarie e salvataggi al limite del possibile.
Quel Real Madrid del 1987 schierava gente del calibro di Emilio Butragueno, Rafael Martin Vasquez, Josè Camacho, Carlos Santillana e del messicano Hugo Sanchez.
La pressione del Madrid portò, al  28° minuto del primo tempo,  alla rete di Carlos Santillana.
Pochi minuti dopo il capitano del Bayern Klaus Aughentaler venne espulso.
La pressione del Real Madrid aumentò ancor più di intensità ma, nonostante l'inferiorità numerica, il Bayern riuscì a resistere fino al novantesimo minuto.
Tra le straordinarie parate di Pfaff in quella notte di aprile  fu indimenticabile  quella che lo vide volare a deviare con la mano di richiamo un pallone calciato all'incrocio dei pali da un calciatore madridista. Un gesto tecnico degno di un "dio" tra i pali di una porta. Una di quelle parate che restano impresse nella mente e non se ne vanno più. 
Per il pubblico del Santiago Barnabéu le parate del belga furono come un incubo.
Diversi tifosi del Real  manifestarono tutta la loro frustrazione e delusione gettando in campo all'indirizzo di Pfaff un po' di tutto.
Tra gli oggetti raccolti dall'arbitro francese Vautrot nell'area di rigore del Bayern  anche una barra di ferro come testimoniarono le immagini  televisive e le fotografie da bordo campo.

Pur sconfitto per 1 - 0 il club bavarese approdò (in virtù del punteggio aggregato) alla  finale di Coppa dei Campioni  dove avrebbe affrontato il Porto. Ma quella lì è un'altra storia.
Quella notte dell'aprile 1987 resterà per sempre impressa nella mia memoria come la partita che  consacrò l'estro e la classe di Jean-Marie Pfaff:  il portiere che riuscì a far disperare il Bernabéu.

Grazie all'amico Shahan per le foto tratte dal suo racconto di quel doppio confronto che potete leggere qui:







domenica 23 novembre 2014

Jürgen Croy il più grande portiere della D.D.R.


La storia di Jürgen Croy l'ho letta e riletta mille e più volte nello splendido libro di Karlheinz  Mrazek "Die Besten Torhüter Der Welt" (I Migliori Portieri del Mondo).
Portiere leggendario della D.D.R., (Germania Est)  Jürgen Croy  ha passato tutta la sua carriera sportiva con i colori dello Zwickau, squadra della sua città natale. Dal 1956 al 1965 come portiere dell'Aktivist Karl-Marx Zwickau e poi dal 1965 al 1981 (data del suo ritiro) nel Sachsenring Zwickau.
Nella sua carriera Croy ha giocato 372 gare del campionato nazionale della D.D.R. ed è stato titolare della nazionale di calcio vestendone la maglia in ben 94 partite.
Nonostante la sua fama gli avesse concesso di poter passare a club di maggiori ambizioni Jürgen Croy non cedette mai alle lusinghe di questi blasonati club restando sempre legato alle sorti del club di Zwickau. Questo suo modo di vedere le "cose del calcio" me lo ha sempre fatto sentire uno dei "preferiti". 
Un uomo, Croy, che per modo di intendere la vita e il calcio è stato un vero Gigante.
Con  piccolo club di Zwickau il portiere tedesco vinse la coppa di lega della D.D.R. nel 1975. 
E in quella coppa vinse non solo parando alla grande, ma regalandosi un posto nella storia calcistica della D.D.R., perché realizzò il calcio di rigore decisivo che consentì allo Zwickau di sconfiggere la più titolata e blasonata Dynamo Dresda. 
Questa vittoria consentì al Sachsenring di disputare, la stagione successiva, la Coppa delle Coppe.
Dopo aver eliminato nel primo turno  i greci del Panatinaikos i tedeschi dell'est eliminarono, negli ottavi,  la Fiorentina ai calci di rigore dopo che le partite di andata e ritorno si erano chiuse sullo 1-0 e 0 -1. Nella gara di ritorno, finita con la lotteria dei rigori, Croy parò  un rigore ai viola e poi andò a realizzarne anche uno. Quindi il Sachsenring eliminò  il Celtic nei quarti di finale (1-1 all'andata e 0-1 al ritorno). Al termine della gara di andata il tecnico del Celtic John Clark ebbe a dire del portiere tedesco: "Negli ultimi anni non ho mai visto al Celtic Park nessun altro portiere forte come Jürgen Croy".
L'avventura dello Zwickau in quella Coppa delle Coppe edizione 1975/1976 si arrestò nel doppio confronto contro i belgi dell'Anderlech. La doppia sconfitta patita contro i  futuri vincitori del torneo  (0-3 e 0-2) non appannò neppure un attimo la gloria dell'impresa del piccolo club di Zwickau che, sin lì, aveva rivaleggiato ad armi pari contro grandi potenze del calcio europeo.
Con la nazionale della D.D.R. Croy partecipò alle Olimpiadi del 1972 e del 1976. Nel 1972 la D.D.R. si piazzò terza mentre nel 1976 Croy & Compagni vinsero la medaglia d'Oro.
Nel 1974 Croy disputò, da titolare, tutte le 6 partite giocate dalla D.D.R. nella fase finale del Campionato del Mondo di Calcio.
Il 22 giugno 1974 Croy fu testimone della storica vittoria della D.D.R. sui futuri campioni del mondo (nonchè cugini) della Germania Ovest.
Vincitori del loro girone in virtù del pareggio con il Cile (1-1) e dei successi contro Australia (2-0) e Germania Ovest ( 1-0)  i tedeschi dell'est vennero eliminati nella seconda fase a causa delle sconfitte patite contro il Brasile (0-1) e l'Olanda (0-2)  chiudendo  la loro avventura mondiale con un pareggio per 1-1 contro l'Argentina.
Per tre volte nominato calciatore dell'anno in D.D.R. (1972-1976-1978) Jürgen Croy è, giustamente,  considerato una leggenda in Germania. 
La scelta di restare una "bandiera" per il suo club a discapito di prospettive  sportive ed economiche più allettanti è ben descritta da Mrazek nel suo libro.
Croy, quando gli veniva chiesto del perché non fosse andato a giocare a Dresda (per dire il nome del Club che più insistette per averlo tra i pali),   si limitava a giustificare il fatto spiegando che a Zwickau stava bene e che, per giocare le partite casalinghe, si recava dalla sua abitazione allo stadio a piedi. 
"Cosa vuoi di più dalla vita ?" verrebbe da chiedersi.
Un Uomo di altri tempi. Una bandiera di quel calcio che è solo un ricordo e genera in me tanta nostalgia.
Viva Jürgen Croy.
Sempre.



domenica 16 novembre 2014

Péter Disztl e il poster delle finali di Coppa 1984-1985


Con quella barba folta che gli circondava il viso e quelle mani protese, quasi fosse un predicatore all'atto di impartire la propria benedizione,   il portiere ungherese Péter Disztl è stato per anni a guardarmi da un poster appeso alle pareti della mia  "affollata" cameretta.
Quel poster, allegato ad un numero primaverile  del "mitologico" Guerin Sportivo anno 1985,  festeggiava le finali delle coppe europee della stagione 1984/1985.
Dopo anni di digiuno una formazione ungherese approdava alle finali di una coppa europea.
Il portiere Disztl era a difesa dei pali del Videoton formazione che, fondata nel 1941, non aveva mai conquistato alcun titolo di prestigio nei confini nazionali e si affacciava da perfetta sconosciuta sul palcoscenico internazionale.
Il terzo posto in campionato nella stagione 1983/1984 consentì agli ungheresi di qualificarsi per la Coppa Uefa edizione 84/85.
Una cavalcata memorabile (con vittime illustri come il Paris St. Germain e il Manchester Utd)  portò Disztl e compagni, nella primavera del 1985, a contendere al Real Madrid  la Coppa Uefa.
In particolar modo nella gara di ritorno dei quarti di finale, contro il Manchester Utd,  Pèter Disztl  contribuì in maniera determinante a far andare avanti i suoi con una splendida parata nella lotteria finale dei calci di rigore.
Il doppio confronto finale  contro il Real Madrid cominciò male per il Videoton che venne sconfitto  per 3 reti a zero in casa.
Gli ungheresi, tuttavia, si tolsero  la soddisfazione di piegare per una rete a zero gli spagnoli nel tempio del Santiago Bernabéu nella sfida di ritorno.
Nella sua carriera Péter Disztl giocò 37 volte come portiere titolare della nazionale ungherese.
Insieme al fratello  Laszlo Disztl, difensore e compagno d'avventura nel Videoton,  Pèter partecipò all'ultima fase finale del mondiale di calcio a cui l'Ungheria prese parte: in Messico nel 1986.
Nella prima delle tre gare che l'Ungheria disputò in Messico Pèter Disdtl capitolò sei volte  contro le tremende bocche di fuoco dell'URSS  guidata dal Colonnello Lobanovski.
Nella seconda gara, che l'Ungheria vinse per 2-0 contro il Canada,  Disztl venne avvicendato tra i pali da Joszef Szendrei salvo ritornare titolare nell'ultima gara contro la Francia che vide i magiari sconfitti per 3 reti a 0. Era il 9  giugno 1986 e quella del portiere Disztl di quel giorno rimane, sinora, l'ultima gara da titolare di un portiere ungherese alla fase finale della Coppa del Mondo di Calcio.