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sabato 28 novembre 2020

Io e Diego ... per altri giorni

 



Senza Peccati e Peccatori non ci sarebbero Santi ...
Sulla scomparsa del Più Grande Pedatore della Storia del Calcio mi è toccato rileggere alcune "verità scomode" sui peccati dell'Uomo  messe sul piatto da qualche "Analfabeta della Vita" che ha preferito ricordare e sottolineare a tutti le mancanze dell'Uomo non avendo probabilmente migliori argomenti con i quali intervenire in questo triste momento per tutti noi amanti della "Pelota".
E così mentre questi Moralisti dell'Ultima Ora  (sempre Analfabeti della Vita) sparavano le loro cartucce al veleno il Buon "Diez"  arrivava al cospetto del "Barba", di Dio, come amava chiamarlo lui.
E immagino questo Dio dal Grande Cuore che l'avrà accolto, come un Buon Padre,  con un piglio certo severo per le sua molteplici mancanze ma subito dopo con un Abbraccio Grande riservato a un Figlio che, certo, ha sbagliato, ma nel Mondo ha gettato un seme che è diventato un Grande Albero chiamato Rivincita sotto il quale hanno trovato gioia milioni di persone in tutto il Mondo.
La storia è nota a tutti, e per chi, come il sottoscritto, l'ha vissuta per intero ed in presa diretta, nelle notti memorabili del Mondiale Messicano del  1986, quelle notti che lo consacrarono il "Dio del Calcio",  la  sua dipartita segna la fine di una Storia che, certo, come Pedatore era finita già da tempo ma che, proprio come testimone del tempo, lasciava al "Diez" ancora ampio margine per regalare altri capitoli.
Quando il Barcellona lo vendette al Napoli, probabilmente credendolo "finito" dopo l'incidente al ginocchio, la storia del Calcio cambiò.
Il ragazzo argentino accettò una sfida che sembrava inpossibile. 
Ai ragazzini di oggi potremmo spiegarla così: pensate a un Ronaldo Cristiano, o di un Messi Leonardo che lasciano Juve e Barcellona per andare a giocare, per citarne qualcuna  (senza voler mancare di rispetto a nessuno) in un Benevento o in un Verona.
Sbarcato a Napoli, in una squadra che non poteva certo competere con le grandi corazzate del Nord, Maradona ha regalato prima una Speranza, e poi una Rivincita immensa ad un'intera città, indicando una strada che chiaramente portava alla Luce dopo un cammino tormentato ma, in ogni caso, determinato.
Il Capolavoro compiuto con la vittoria finale nel  Mondiale in Messico nel 1986 e il primo Scudetto portato al Napoli nella primavera del  1987  regalarono gioia a una moltitudine di persone.
E non solo argentini e napoletani: davanti a questo Campione si aprirono i cuori di tutti quegli appassionati del calcio che, magari restando faziosi, non potevano non alzarsi in piedi e applaudire al passaggio di un Re.
Passeranno secoli e resterà intatta, tramandata da generazioni, la Leggenda del "Diez" ... un Uomo che prese per Mano il Calcio e ne cambiò la Storia.
Resteremo sempre sullo stesso Sentiero ... io e te. 
Per altri giorni. 






sabato 14 novembre 2020

Io e Jozef Mlynarczyk, una storia di amore e odio

 


Era  il pomeriggio di lunedì 14 giugno 1982 quando incrociai per la prima volta la mia strada di accanito appassionato di numeri 1 con quella di  questo portiere dal nome talmente complicato che, all'epoca, mi sembrò più semplice e scolastico  archiviare e memorizzare sotto il nome di Walesa, data la somiglianza che gli attribuì con il noto politico e leader del movimento noto come "Solidarnosc".
Quel pomeriggio l'Italia di Enzo Bearzot affrontò la prima gara del Mundial di Spagna 1982 affontando a Vigo la Polonia.
Jozef Mlynarczyk o, Comedivolessesipronunciasse, aveva davvero un nome complicato tanto che probabilmente lo stesso Nando Martellini, che fece la telecronaca di quella partita, decise a ragione di semplificare la cosa chiamandolo più volte in causa come "Il Portiere Polacco"  per  evitare lo scomodo scioglilingua.
Vestito di verde, in quella gara, il baffuto portiere polacco fu bravo in qualche occasione e fortunato in altre, come quando fu salvato, nel secondo tempo, del compagno Lato che salvò sulla linea di porta una palla che sembrava già dentro la rete o ancora  quando l'aiuto arrivò dalla traversa su un tiro scoccato perenteorio dal nostro Tardelli. 
Quella partita finì 0-0 e ancora non potevo sapere che di lì a pochi giorni avrei ritrovato il baffuto Jozef per la seconda volta sulla mia "Via dei Portieri".
Accadde giovedì 8 luglio 1982. Questa volta  Italia e Polonia si contendevano l'accesso alla finale del Mundial. 
Tutt'altra storia rispetto a quella del precedente incontro.
Sempre in campo con il suo maglione verde, Jozef Mlynarczyk dovette capitolare quasi subito sotto i colpi del Bomber Paolo Pablito Rossi che realizzò una doppietta, con la prima rete al minuto 22 nel corso del primo tempo e la successiva rete al minuto 73 della ripresa. 
L'Italia volò in finale mentre la Polonia si classificò al terzo posto nel mondiale a spese della Francia e così, Mlynarczyk, affiancò Tomaszewski nella classifica dei portieri polacchi con il miglior piazzamento alla fase finale di un campionato del mondo di calcio.
Negli anni successivi incrocia ancora il polacco sulla via delle coppe europee.
Tuttavia, la storia di amore con questo interprete del ruolo terminò, momentaneamente, la sera del 27 maggio 1987.
Accadde allo stadio Ernst-Happel di Vienna. In quella notte, per me dolorosa, il mio Jean-Marie Pfaff con il suo Bayern Monaco avrebbe dovuto alzare al cielo la Coppa dei Campioni in quella finale, tanto attesa, che vedeva i bavaresi opposti ai portoghesi del Porto.
Dal gennaio del 1986 a difendere i pali della squadra di Oporto vi era proprio Mlynarczyk e, se devo essere sincero, visto i trascorsi favorevoli del Mundial Spagnolo pavoneggiai la vittoria del mio belga, nel confronto diretto, forte proprio del favore dei precedenti incroci con Jozef.
Sceso in campo con il solito "Giallo" portafortuna, il mio belga aveva però quello strano abbinamento con i pantaloncini azzurri che mai aveva proposto prima. Il polacco, invece, si presentò di Azzurro Vestito.
La notte di Vienna, partendo dal famoso gol dell'algerino Madjer, il tacco di Allah che pareggiò l'iniziale vantaggio bavarese con Kogl, per finire con la rete del brasiliano (con trascorsi italiani) Juary, fu un autentico incubo e, devo dire, odiai per un po il baffuto polacco, che vidi alzare al cielo di Vienna la coppa che avrebbe, secondo i miei piani, portato il mio Pfaff nel trono degli immortali. 
Fu la prima Coppa dei Campioni vinta dalla squadra di Oporto e, Jozef,  sarà per sempre parte della Storia.
Passò qualche mese e, alla fine, tornai a far pace con Mlynarczyk la sera di domenica 13 dicembre di quel 1987 allorchè tifai per lui nella finale di Coppa Intercontinentale che vide il Porto Campione d'Europa affrontare gli uruguagi del Penarol Campioni del Sudamerica.
Di quella gara che,  ricordo, vidi in differita  la sera di quella domenica in camera mia sul piccolo televisore arancione Grundig (in rigoroso bianco e nero)  chiara mi è rimasta l'immagine della fitta nevicata che avvolse il National Stadium di Tokyo ove per tradizione si svolgeva quella gara "mondiale".
Il campo era completamente imbiancato e le classiche tromebette giapponesi suonavano ovattate dalla copiosa neve: il dirempettaio di Mlynarczyk, il collega uruguagio Eduardo Pereira,  non riscuoteva la mia simpatia pertanto tifai per Jozef che giocò il primo tempo con un'inedita maglia grigia (che mi ricordò come il suo verde del 1982 fosse più bello del grigio del nostro Dino"Mito" Zoff) salvo poi sfoggiare il talismano della maglia Azzurra che, nell'evidenza dei fatti, portò bene.
Dopo il vantaggio del Porto col gol del Bomber Fernando Gomes, il pareggio del Penarol arrivò al minuto 80 con Ricardo Viera. Nel corso dei tempi supplementari ci pensò il solito Rabah Madjer a mettere le corse a posto e a consegnare al Porto la sua prima Coppa Intercontinentale portando sempre più dentro la Storia del Calcio e del Club il suo baffuto portiere polacco.
A distanza di anni, questa storia di amore e odio e poi ancora amore la dovevo mettere nero su bianco per pagare così il giusto tributo a questo grande Numero 1 che, nella Storia del calcio della sua nazione, può essere ritenuto secondo solo alla classe immensa e cristallina di Jan Tomaszewski.


(IL PORTO CAMPIONE DEL MONDO 1987)










Marco Ballotta l'Unico e Originale "Immortale" della Champions League

 



Accadde nella notte dell'11 dicembre 2007 allo Stadio Santiago Bernabeu di Madrid.
In quella notte  la Lazio,  allenata da Delio Rossi,  affrontò nell'ultima gara del girone C di qualificazione della Chapions League  i padroni di casa del Real Madrid.
Davanti agli  80mila spettatori che riempirono lo Stadio di Madrid il portiere che prese posto tra i pali della formazione della Lazio stabilì, in quella notte, un primato che tutt'ora resiste negli annali della competizione: Marco Ballotta, con i suoi 43 anni e 252 giorni  stabilì il primato di calciatore più vecchio mai impegnato in una gara di Champions League.
La notte di Madrid non fu molto propizia per il portiere romagnolo.
Infatti il Real Madrid sconfisse la Lazio per 3 reti ad 1 relegando la formazione biancoleste all'ultimo posto del girone di qualificazione.
A distanza di anni, il mito e il record di Marco Ballotta resistono incrollabili.
Ballotta,  con la sua ultima apparizione in una gara di Serie A, sempre con la maglia della Lazio, l'11 maggio del 2008 contro il Genoa, allo stadio Luigi Ferraris,  stabilì anche il record italiano di calciatore più anziano scendendo in campo coi suoi 44 anni e 38 giorni di età.
Una carriera spesa tra i pali di Bologna, Modena, Cesena, Parma, Reggiana, Brescia, Lazio, Treviso con un breve passaggio all'Inter come secondo portiere e un successivo cambio di ruolo, come attaccante, e con ottimi risultati,  nella formazione bolognese del Calcara Somaggia   tratteggiano il ritratto di questo autentico "veterano" del calcio professionistico italiano che ancora, nel corso del 2019, ha trovato posto come terzo portiere nella formazione del Castelvetro  di Modena, formazione della quale è anche Presidente.
In una parola: "Immortale".



(MARCO BALLOTTA, L'IMMORTALE)