di Roberto Rizzetto
Prendendo in prestito la frase con la quale il
giornalista sportivo Federico Buffa era solito introdurre il programma
televisivo “Storie mondiali”, posso affermare che i mondiali hanno scandito,
con cadenza quadriennale, il ritmo della mia vita. Ho addirittura un ricordo,
seppur molto sbiadito, del mondiale del 74 mentre, per ovvie ragioni, il
mundial spagnolo dell’82 vinto dall’Italia è quello a cui sono emotivamente più
legato. In mezzo c’è stato il mondiale d’Argentina del 78 che mi ha fatto
scoprire la passione per il calcio.
All’epoca avevo dieci
anni e l’interesse per il football era legato principalmente alla raccolta di
figurine della Panini. Fu proprio questa competizione calcistica, trasmessa per
intero dalla RAI, a farmi innamorare di questo sport. Guardai tutte le partite
trasmesse nel pomeriggio, mentre, a causa del fuso orario, i miei genitori mi
consentirono di assistere soltanto al primo tempo dell’incontro serale che
aveva inizio alle 22 italiane. E vedendo la prima frazione di gioco di
Messico-Tunisia rimasi folgorato dalla nazionale messicana, non tanto per il
loro tasso tecnico o per il modulo di gioco, quanto per le fluenti capigliature
sfoggiate dai calciatori messicani. In particolare il mio idolo divenne
immediatamente un centrocampista offensivo di nome Leonardo Cuellar, la cui
zazzera di riccioli neri era davvero impressionante… Ricordo
che il sabato successivo, al mercato, convinsi mia madre ad acquistare una
maglietta verde scuro (il colore sociale della divisa della nazionale
centroamericana) sul retro della quale, con del nastro adesivo, aggiunsi un
rudimentale numero 17 (ovvero il numero di Cuellar). Inoltre le mance che in
quel periodo chiesi con insistenza ai miei familiari vennero sistematicamente
convertite nell’acquisto delle figurine che la Panini aveva messo in
circolazione in occasione del mondiale. Aprivo
ogni pacchetto con la speranza di trovare la figurina di un calciatore
messicano, magari proprio quella di Cuellar…
Tornando alla partita, quando al termine del primo tempo Vasquez-Ayala
portò in vantaggio il Messico su calcio di rigore urlai di gioia. Andai a
dormire sognando la nazionale messicana che alzava al cielo la coppa del mondo.
Con profonda delusione appresi il giorno
successivo che la partita era terminata 3-1 per la Tunisia. Nei due successivi
incontri il Messico rimediò altrettante sconfitte (per 6-0 contro la Germania
Ovest e per 3-1 nei confronti della Polonia) finendo così mestamente al
sedicesimo e ultimo posto!
Optai quindi per un tiepido tifo
per gli azzurri, che finirono al quarto posto disputando un ottimo campionato
del mondo. Ebbero modo di rifarsi con gli interessi quattro anni dopo, ma
questa è un’altra Storia…
La
“rilettura” del mondiale argentino con gli occhi da adulto ebbe su di me
l’effetto di un pugno sullo stomaco. Fu quello un esempio eclatante di come i
regimi utilizzassero lo sport a fini propagandistici, e infatti coincise con il
momento di maggior popolarità della dittatura del colonnello Videla.
Fu un mondiale che l’Argentina
vinse raggiungendo la finale grazie a quella che venne ribattezzata la
“marmellata peruviana”, ovvero un poco credibile 6-0 rifilato al Perù in una
partita che incredibilmente non venne disputata in contemporanea con quella del
Brasile, ovvero l’altra pretendente alla finale.
Ma molto più sconvolgente fu ciò
accadde in Argentina (anche) durante quel mondiale. Migliaia furono infatti i
“desaparecidos”, ovvero le persone arrestate per motivi politici (oppure
accusate semplicemente di avere compiuto attività anti governative) delle quali
si persero le tracce. Si seppe in seguito che molti di loro vennero prima narcotizzati
e poi lanciati dai portelloni aperti degli aerei verso le acque scure
dell’oceano. Durante “Argentina 78” la tv olandese diffuse le immagini della
coraggiosa marcia delle “madri di plaza de Mayo” che, sventolando un fazzoletto
bianco, chiedevano giustizia per una generazione scomparsa.
Ma ci fu anche chi ebbe il coraggio di non chinare la testa di fronte a
questa sanguinaria dittatura. E’ il caso di Jorge Carrascosa, detto “El lobo”,
ovvero “il lupo”. Carrascosa era un terzino non particolarmente dotato dal
punto di vista fisico e tecnico, tuttavia, grazie al suo temperamento ed al suo
carisma, era riuscito a guadagnarsi i gradi di capitano della nazionale
albiceleste con la quale aveva disputato
il mondiale del 74 e collezionato 30 presenze, segnando anche una rete. A
livello di club Jorge si laureò due volte campione d’Argentina, la prima nel 71
con il Rosario Central, due anni dopo vestendo la casacca bianca dell’Huracan,
squadra alla quale legò gran parte della carriera arrivando a disputare ben 287
partite.
Ma all’alba di quel mondiale che l’Argentina si accingeva ad ospitare
(tra l’altro con una formazione per la prima volta competitiva) lasciò la
nazionale in segno di protesta nei confronti di quella dittatura militare che
governava il paese.
A nulla valsero i ripetuti tentativi del CT Luis Cesar
Menotti detto il “flaco” di fargli cambiare idea. Anzi, esattamente un anno
dopo, il trentunenne Carrascosa diede l’addio al calcio giocato. Sono passati 41 anni da quel mondiale ed oggi Cuellar è il selezionatore
della modesta nazionale femminile messicana. Del suo look “afro” di una volta
non è rimasta traccia alcuna visto che porta i capelli (ormai completamente
bianchi) corti ed ha il viso perfettamente rasato.
Jorge Carrascosa invece,
una volta terminata la carriera, divenne assicuratore.
A suo dire un lavoro
onesto che gli permise di conoscere tante belle persone e di vivere nel
quartiere di Buenos Aires in cui era nato. In una recente intervista, alla domanda
se fosse felice delle scelte fatte rispose: “ Adesso, alla mia età, sono verso
la fine della partita. Però mi sembra di averla giocata bene!”.
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